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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Marcello Vigli auspica un coordinamento di tutte le realtà conciliari di base del mondo cattolico

Alimentare l’”aggiornamento” della fede e della Chiesa
Marcello Vigli

(dal sito delle Comunità di base)

A cinquant’anni dalla conclusione del Concilio vaticano II si deve riconoscere che la Chiesa universale non è ancora quella Istituzione a servizio del Popolo di Dio in cammino nella storia, che sembrava emergere dal fecondo processo di ripensamento teologico e pastorale esploso con il suo annuncio e sviluppato nella comunità ecclesiale durante i suoi lavori.
Al tempo stesso, però, in gran parte della Comunità ecclesiale è ancora viva la speranza che quel processo non si esaurisca e possa portare i suoi frutti, resistendo tenacemente ai tentativi di limitarlo ad un semplice aggiornamento dell’esistente, come fin qui è stato.
Vive nei gruppi di base cosiddetti conciliari, in molti parrocchiani criticamente “fedeli”, nell’associazionismo tradizionale ed anche in conventi e monasteri. E’ un Popolo che si è manifestato a Roma il 15 settembre 2012 all’auditorium del collegio Massimo all’EUR con l’ampia e variegata partecipazione all’assemblea indetta da un comitato operativo costituito proprio per offrire l’occasione di un incontro per ricordare l’anniversario prima ancora che della seduta inaugurale del Concilio, del radiomessaggio dell’11 settembre 1962 nel quale Giovanni XXIII, il papa che l’aveva convocato, ne aveva espresso le intenzioni profonde, che culminarono nella definizione della Chiesa come “la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri”.
C’era già nelle intenzioni dei promotori in questa distinzione l’intento di non farne un incontro celebrativo, ma un momento di riflessione sulla necessità di recuperare quelle intenzioni profonde considerate, evidentemente, perse o dimenticate dopo la conclusone dei lavori conciliari. C’è da pensare che proprio questo intento abbia mosso le centinaia di partecipanti a ritrovarsi a Roma così numerosi e attenti ai temi affrontati nei diversi interventi, come non si sono visti nelle due assemblee successive convocate per rievocare i grandi documenti come l’enciclica Pacem in Terris, e la costituzione conciliare Lumen Gentium.
Letti alla luce dell’esito della prima assemblea a molti saranno sembrati momenti pur importanti per apprendere ed approfondire idee e valutazioni, ma non sedi per riflettere sul “che fare” per realizzare l’aggiornamento proposto dal Concilio secondo quanto si era scritto nelle sue conclusioni rilanciate sul sito Chiesa dei poveri Chiesa di tutti: Volendo pertanto continuare a fare memoria del Concilio, non al modo di una semplice celebrazione, ma al modo di una memoria rigeneratrice così da alimentare l’”aggiornamento” della fede e della Chiesa,
C’è da augurarsi che questa memoria rigeneratrice emerga nel prossimo convegno organizzato a Roma per il sabato 9 maggio per riflettere sulla Gaudium et spes.
In verità il suo programma vuole anche offrire la possibilità di raccogliere tanti stimoli della nostra area “conciliare” e di dare, per quanto possibile, un contributo all’interno della Chiesa nella nuova fase che si è aperta con papa Francesco, anche nei confronti del Sinodo di ottobre e dell’incontro di tutta la Chiesa italiana di novembre a Firenze.
Lo scrivono gli organizzatori nella comunicazione di invito, sollecitando anche l’invio di idee e suggerimenti concreti, prezioso è, infatti, il confronto fra esperienze e sensibilità diverse per rendere efficace il suddetto contributo all’interno della Chiesa. E’ necessario uscire dalla tradizionale divisione dei compiti per cui ai laici si chiede di impegnarsi sulle grandi questioni del rapporto dell’Evangelo con la società e con la storia, riflettendo soprattutto sui problemi della pace e dell’economia, per lasciare alla gerarchia e al suo clero la gestione della vita interna della Comunità ecclesiale e dei suoi rapporti con lo Stato.
Anche di questo devono occuparsi i laici che il Concilio ha trasformato da gregge di pecore, bisognose di Pastori, in Popolo di Dio, in cui ogni battezzato è cittadino con pari diritti e doveri pur se da esercitare in funzioni diverse.
Per realizzare questa radicale trasformazione, è necessario che i gruppi della nostra area conciliare si colleghino e si costituiscano, senza perdere la loro identità e autonomia, in soggetto impegnato a contribuire alla fine di quei legami e privilegi concessi alle gerarchie dai politici desiderosi del loro appoggio che impediscono alla Chiesa di essere povera di potere ed autosufficiente economicamente.
Un collegamento non strutturale, ma funzionale a raggiungere con azioni condivise specifici obiettivi comunemente individuati, in modo che ciascun gruppo, associazione, comunità possa continuare a svolgere le sue attività e a perseguire i suoi obiettivi in piena autonomia. Numerosi sono gli esempi già esistenti nella società civile nei quali molti gruppi ecclesiali sono coinvolti, da Libera ai movimenti per la pace.
A unirsi per costruire una Chiesa altra, povera e misericordiosa come propone papa Francesco, si oppone il timore reverenziale verso una gerarchia, che in Italia è rimasta ai margini del processo conciliare e ancor oggi è restia a seguire papa Francesco nella sua opera riformatrice.
Un maggiore ostacolo è forse rappresentato dalla diffidenza diffusa fra i gruppi della nostra area conciliare nei confronti gli uni degli altri nel timore di perdere la propria specificità.
Con l’avvento di papa Francesco si sono forse create le condizioni per superare questi ostacoli in un incontro convocato per coniugare GIOIA E SPERANZA, MISERICORDIA E LOTTA.


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Commenti

2 risposte a “Marcello Vigli auspica un coordinamento di tutte le realtà conciliari di base del mondo cattolico”

  1. Avatar Vittorio da rios
    Vittorio da rios

    Come non ritrovarsi su quanto scritto da Marcello Vigli ? Condivido e mi permetto
    di rafforzare le sue considerazioni. Oggi a l’uomo e alla donna di fede, quale compito
    spetta? Come spendere la propria esistenza se son esclusivamente per l’altro, per questa
    immensa umanità sofferente,quanti uomini randagi incontriamo padroni solo dei pochi
    cenci che coprono corpi spesso segnati da ferite non più cicatrizzabili ? Le nuove planetarie
    schiavitù. Fino a quando è tollerabile tutto questo? Ci si sta abituando a convivere con
    la più egoistica e criminale delle sperequazioni sociali che mai storia abbia conosciuto?
    Dove trovare le forze morali ed etiche per combattere questo –mostro–tecnologico-finanziario
    decisamente non più controllabile dagli stessi suoi creatori; se non nel solco della –verità–tracciato
    dal Cristo? Quanto è stata profetica l’opera di Balducci: un cristianesimo, rifondato, frutto di un
    nuovo seme impiantato su un campo sterminato e fertile, un nuovo cristianesimo tutto incentrato
    sulle questioni sociali, sull’altro,e sulla sua condizione terrena. Credo che l’uomo e la donna di fede
    che cerca strenuamente una vita di giustizia debba farsi costruttore anche di un nuovo paradigma
    filosofico-teologico liberarsi da molte inutili:–filosofie e teologie-che nulla servono, totalmente
    inadeguate poi a dare concrete risposte all’uomo del terzo millennio.Insisto su questo poiché
    ritengo che la costruzione del –mostro tecnologico-finanziario produttivo e bellico-sia anche
    responsabilità concreta di molti Filosofi-e teologi. Cosa pensano costoro che è con i festival di
    filosofia o teologia che si dia un contributo concreto effettuale a cambiare questo universo
    orrendo di memoria Pasoliniana? Quanti di costoro dalla parlata da robot caricati a chiave ben
    vestiti e perennemente abbronzati hanno forza morale quanto etica per entrare nell’incandescenza
    delle questioni drammatiche che la maggioranza delle creature umane vive quotidianamente
    sulla propria pelle viva? Sporcarsi le mani fino in fondo, tradurre in atti concreti
    effettuali direbbe il Machiavelli le teorie di cui fanno bella mostra e che si vantano di
    conoscere. Dalla popfilosifia E dalla popteologia oggi tanto in voga nasceranno dei Franzoni-
    Girardi-Balducci-Mazzi-Della Valle-Gallo-Tonino Bello-Turoldo ecc.? Nutro seri dubbi. Tuttavia
    la rigenerazione dell’intellettuale in prospettiva planetaria di costruzione balducciana resta
    questione fondamentale.Queste grandi figure che mi sono permesso di citare assieme ad altre:
    Vittorio Bellavite recentemente ci ha ricordato l’anniversario dell’assassinio di un grande teologo
    Bonhoeffer: come della morte di Ostensio da Pinetolo, –spero che si scriva cosi– altra grande
    figura di studioso e teologo fuori dal maestrin mediatico e lontano dai mondani palcoscenici
    frequentati da molti vip della cultura filosofica-e teologica ufficiale dominante istituzionalizzata–particolarmente indigesta a figure come Balducci Come non ricordare Moltaman, Metz, Barth ,
    Bultmann ecc. e le grandi figure intellettuali che hanno generato la teologia della liberazione latino
    americana. Abbeveriamoci con avidità a queste fonti gravide di saggezza e sapienza cosi poco
    accademiche e istituzionali, ma profeticamente cosi vicine alle reali aspettative di liberazione
    e giustizia di ogni uomo e donna; che aspirano non–dimentichiamolo mai–a una vita giusta e
    dignitosa per se e per i propri figlioli, in questo proscenio esistenziale orrendo caratterizzato
    dalla cultura della violenza, e di morte. Dobbiamo liberare l’ominide dall’archetipo letale che
    si è costruito nel corso dei secoli. E costruire una civiltà totalmente –pacificata–dove il non
    uccidere sia entrato nel DNA di ogni creatura che calpesterà la polvere della terra. e citando
    ancora Federico Caffe –ognuno dia la luce che può–, ce né un immenso
    bisogno.
    Un caro saluto, in particolare a Vittorio Bellavite che ringrazio sentitamente dell’opera che svolge.

  2. Avatar Vittorio da rios
    Vittorio da rios

    Corego un piccolo pasticcio di battitura -ve ne saranno altri–popfilosofia–

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