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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Niente di nuovo sotto il sole per i divorziati risposati

Divorziati e risposati

di Luigi  Sandri (da “Il Trentino” del 4 giugno 2012)

Tra i molti temi affrontati da Benedetto XVI nel suo pellegrinaggio a Milano, da venerdì a ieri, in occasione del VII Incontro mondiale delle famiglie, vorremmo sottolinearne qui uno specifico: quello delle persone, un tempo considerate, dalla dottrina cattolica ufficiale, “irregolari”, e oggi viste con maggior rispetto e attenzione: le persone, appunto, “separate” o “divorziate e risposate”.

     Durante la celebrazione conclusiva del suo viaggio, nell’omelia della messa di ieri, il papa – di fronte ad un milione di persone (molte delle quali provenienti da paesi europei ed extraeuropei) – ha affermato: “Una parola vorrei dedicarla anche ai fedeli che, pur condividendo gli insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sono segnati da esperienze dolorose di fallimento e di separazione. Sappiate che il papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica. Vi incoraggio a rimanere uniti alle vostre comunità, mentre auspico che le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e vicinanza”.

     Fino a decenni recenti, di norma – e salvo importanti eccezioni – i “divorziati” erano considerati  quasi con malcelato disprezzo dai cattolici “regolari”. A livello delle gerarchie ecclesiastiche, poi, si potrebbe dire, volendo fissare una data, che l’inizio ufficiale di un diverso modo di valutare i fedeli cattolici separati e/o divorziati, o divorziati e risposati, fu il Sinodo sulla famiglia del 1980, e  l’esortazione apostolica post-sinodale “Familiaris consortio” del 1981, con la quale Giovanni Paolo II, raccogliendo le indicazioni dei vescovi, invitava a considerare con attenzione e con senso di vicinanza queste persone che, pur tuttavia, avevano visto fallire la loro esperienza familiare e matrimoniale.

    Sempre più, da allora, in diverse diocesi si sono create strutture pastorali per seguire queste persone, insistendo sul fatto che anch’esse “sono nella Chiesa”, e non “fuori” di essa. Tuttavia, il nodo di fondo – teologico ed ecclesiale – non è stato risolto: possono, e se sì, a quali condizioni, queste persone, accostarsi alla comunione? In senso stretto, il problema non si pone per i separati, e neppure per i divorziati, ma per i divorziati/e risposati/e. Secondo papa Wojtyla queste persone in nessun modo dovevano essere ammesse all’Eucaristia, a meno che, se non potevano dividersi (a causa dei figli), non promettessero di vivere come fratello e sorella. Una condizione inaccettabile, naturalmente, per molti e molte di loro.

    E, infatti, in alcuni paesi, sulla questione nacque una vivacissima discussione, a livello degli interessati ma anche del mondo teologico e delle gerarchie ecclesiastiche. Infine, tre vescovi tedeschi (tra essi i futuri cardinali Walter Kasper e Karl Lehmann) nel 1993 scrissero una lettera pastorale comune per dire: quando una persona divorziata e risposata, ritenga in coscienza, e di fronte a Dio, il suo precedente matrimonio irreparabilmente fallito, e la sua nuova unione responsabilmente vissuta con amore e fedeltà, può decidere di accostarsi all’Eucaristia. La proposta fece scalpore; e il cardinale Joseph Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, convocò a Roma i tre prelati e, in sostanza, li obbligò a ritirare la loro proposta.

    Questo ordine imperativo di Roma non ha però risolto il problema, e migliaia di divorziati/e risposati/e, in Germania e non solo, non aspettano più il permesso ufficiale della loro Chiesa per andare alla comunione. E, così, per parroci e vescovi il problema – una vera tortura – rimane irrisolto. Non formalmente, ma nei fatti, vi è uno scisma: le gerarchie proclamano una dottrina, molti fedeli non la seguono e, anzi, vi si oppongono. Non è questione da poco perché, infine, rinvia all’Evangelo. Quale è, in proposito, la volontà di Dio (domanda che ai non credenti interesserà poco, ma che pende sulla vita dei credenti)? E’ evidente che Gesù propone in modo alto e solenne che “l’uomo non divida ciò che Dio ha unito”: insomma, l’ideale è che l’amore di un uomo e una donna nel matrimonio sia fedele, indissolubile e infrangibile su questa terra. Ma se accade – sia pure per colpa dell’uno o dell’altro coniuge, o di ambedue – che il matrimonio si infranga? Senza entrare qui in una complessa analisi ermeneutica, diciamo che le Chiese, fin dall’inizio, hanno proclamato l’ideale posto da Gesù ma, anche, cercato di venire incontro a quanti quell’ideale avessero smarrito. Già nell’Evangelo di Matteo vi è una clausola, molto discussa, che in qualche modo ammette una separazione “in caso di fornicazione” di uno dei coniugi. Le Chiese ortodosse, in ogni caso, hanno sempre accettato il secondo (e anche il terzo matrimonio), sia pure celebrato in tono minore, e in spirito penitenziale. E le Chiese legate alla Riforma ammettono anch’esse alla comunione della Santa Cena i divorziati/e risposati/e.

    Insomma, tutte unite nell’affermare l’ideale del matrimonio indissolubile, le Chiese si dividono sul “come” affrontare chi quell’ideale non raggiunge e, anzi, contrasta. Abbandonarlo per sempre all’esclusione dell’Eucaristia, o ammetterlo, sia pure dopo adeguata penitenza? O le persone divorziate e risposate non hanno diritto a quella misericordia che la Chiesa romana ha per gli omicidi che, pentiti, sono ammessi all’Eucaristia? Ma, stante questo pontificato, è assai difficile che si affronti questo nodo; inevitabilmente, esso si porrà dopo (e, siccome i “corvi” in Vaticano continuano ad operare, nel futuro conclave un dibattito su questo tema sarà inevitabile. E vedrà misurarsi opinioni contrapposte).


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Commenti

Una replica a “Niente di nuovo sotto il sole per i divorziati risposati”

  1. Avatar Samuela Bartolacci
    Samuela Bartolacci

    Da divorziata risposata, riferendomi all’espressione che gli individui nella mia condizione possano essere ammessi all’Eucarestia “dopo adeguata penitenza”, garantisco che chiunque di noi sia legato alla fede tanto da auspicare di tornare ad accostarsi alla comunione “ha inevitabilmente pagato una penitenza pesantissima” costituita dello stesso vissuto drammatico del fallimento. E vi assicuro che appartenere all’unica categoria di scomunicati della nostra cara Santa Madre Chiesa nonostante a tutti (assassini, violenti, pedofili..) sia concessa misericordia è ulteriormente e pesantemente devastante per l’animo per la fede stessa in Dio Padre misericordioso.

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