Kairós Palestina
di
“Non è permesso di ricorrere a posizioni teologiche bibliche per farne uno strumento a giustificazione delle ingiustizie”. E in modo ancora più esplicito: “Non ci si può basare sul tema della Terra Promessa per giustificare il ritorno degli ebrei in Israele e la espulsione dei palestinesi”: la prima affermazione è contenuta nel Messaggio al Popolo di Dio (cioè a tutto il mondo) del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente; la seconda affermazione è dell’Arcivescovo greco-melchita Cyrill Salim Bustros, che nella Sala Stampa vaticana ufficialmente l’ha presentato e spiegato.
Questa
Perfino nel documento di riconciliazione con gli ebrei del Concilio Vaticano II “Nostra aetate” la questione era rimossa, fino al punto che la parola “Israele”, per la difficoltà di coniugare la sua valenza teologica (l’”Israele di Dio”) e la sua attuale significazione politica (lo Stato d’Israele) non era mai adoperata
Ma questo silenzio sulla componente religiosa della questione israeliana se era di tutto l’Occidente e di tutte le Chiese, non lo era affatto degli ebrei, sia d’Israele che del mondo intero. La questione della legittimazione e della identità ebraica dello Stato d’Israele, del significato religioso del sionismo politico, della sua compatibilità o contrasto col sionismo religioso, in effetti domina il dibattito ebraico dall’inizio del Novecento ed è sempre aperta, anche se il 10 ottobre scorso il governo israeliano ha tentato una nuova forzatura inserendo nella legge sulla cittadinanza una norma che obbligherebbe ogni nuovo cittadino israeliano (anche arabo) a prestare giuramento ad Israele “Stato ebraico e democratico”, facendo così dell’ebraicità un carattere sacro dello Stato tutelato da un giuramento.
In questa situazione è un po’ paradossale che il ministero degli esteri israeliano abbia replicato al Sinodo che il riferimento alla Terra Promessa “non è mai stata la politica di alcun governo in Israele”: l’espansione delle colonie nei territori occupati non ha in effetti altra ragione che questa.
Dunque è cominciato “un momento di verità”? Forse esso non sarebbe mai venuto se l’iniziativa non fosse venuta da cristiani – laici pastori e vescovi – di tutte le Chiese cristiane della Palestina, attraverso un documento “Kairós Palestina”, fatto proprio dai Patriarchi e dai capi delle Chiese di Gerusalemme e indirizzato a tutte le Chiese[1]. In esso si pone esplicitamente la questione che attraverso un uso distorto della Bibbia da parte di Israele, “la buona notizia dello stesso Vangelo è diventata una minaccia di morte per noi”. In questione non c’è dunque solamente la nuda vita del popolo palestinese: in questione è lo stesso kerigma, sia quello cristiano che quello ebraico.
Per questo la Chiesa cattolica nel Sinodo dei Vescovi, che nel documento preparatorio ancora una volta aveva derubricato il conflitto a questione politica senza implicazioni ecclesiali, se ne è ora fatta carico e ha posto il problema alla luce del sole davanti a tutti. L’ecumenismo, la coniugazione dei carismi di laici e gerarchie ecclesiastiche di tutte le Chiese più direttamente coinvolte, sono arrivate là dove una Chiesa da sola non aveva osato arrivare.
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