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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Pax Christi e l’Avvenire contro la missione in Niger. Ma i vescovi stanno zitti? Noi Siamo Chiesa è contro la missione di guerra in Niger

Libia: l’Italia invierà militari. Don Sacco (Pax Christi), “scelta folle e insensata. Parlamentari votino contro questa decisione del governo”

17 gennaio 2018  (“Avvenire”)

“Pare che verrà ridotto il numero dei militari in Iraq per mandarli in Libia e Niger. Da un’avventura all’altra. Credo sia una scelta folle e insensata. E riapriremo il Parlamento, appena sciolto, per un’altra guerra”. Lo afferma don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, in un’intervista pubblicata oggi da “Avvenire”. Don Sacco lancia un appello: “Mi auguro che oggi i parlamentari votino contro questa decisione del governo. A fine legislatura sarebbe un bel segnale, che ci farebbe ben sperare per il futuro”. “Papa Francesco – aggiunge – continua a ricordarci che siamo in una ‘terza guerra mondiale a pezzi’ e noi la alimentiamo in modo vergognoso e ipocrita”. Il coordinatore nazionale di Pax Christi commenta anche la “paura di una guerra nucleare” manifestata dal Papa sul volo che lo portava in Cile: “La paura del Papa è anche la nostra”. “Lui – prosegue – fa la sua parte, noi dobbiamo fare la nostra e impegnarci con tutte le forze per mettere al bando le armi nucleari, presenti anche sul nostro territorio, per questo abbiamo lanciato insieme a tanti altri, la campagna ‘Italia ripensaci!’”. Sulla questione della produzione di bombe in Sardegna, utilizzate poi nel conflitto in Yemen con la morte di civili, don Sacco chiede “alla politica di interessarsi seriamente di questi temi, di pace e disarmo. E lo chiedo anche ai sindacati, spesso silenti. Lo chiedo alla società civile. Perché non tutto quel che è legale è lecito e morale”.

Avvenire

Lettera aperta. L’Italia in armi sulle vie del Niger: una storia scritta sulla sabbia

Mauro Armanino, mercoledì 27 dicembre 2017

«La svolta africana. Soldati italiani in Niger non solo per addestrare (…). Con 470 uomini e 150 veicoli le nostre truppe svolgeranno anche “attività di sorveglianza e di controllo del territorio”. All’inizio coi francesi, tra miliziani, contrabbandieri e migranti». Così Gianluca di Feo su “Repubblica” del 14 dicembre del 2017 ha anticipato ciò che il Ministero della Difesa ha sostanzialmente confermato il giorno seguente e che il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha ribadito nei giorni di Natale. Nel Niger, dove mi trovo da quasi sette anni, il 18 dicembre si è celebrata la proclamazione della Repubblica, avvenuta 59 anni or sono. Mi vengono in mente una Repubblica di carta e l’altra di sabbia.

Quella di carta racconta del Paese dove sono nato, una «Repubblica, fondata sul lavoro», nata dalle variegate resistenze al nazifascismo che, proprio per questo, ha scelto di ripudiare la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (art. 11 della Costituzione). Una Repubblica di carta stracciata, se e quando questo principio viene messo in discussione, svuotato, svenduto. Una Repubblica che si appresta a scrivere una storia ambigua e dura sulla sabbia di quest’altra Repubblica, quella del Niger, dove vivo. Abbiamo comprato l’assenso della Repubblica del Niger, che pure oggi, nella sabbia delle frontiere già armate, riconosce di essere da 59 anni una Repubblica sovrana. Abbiamo usato il denaro per comprare il diritto a operare con militari allo scopo di occupare terreno, sorvegliare e se è il caso punire, secondo i dispositivi di controllo del territorio delineati dal piano di occupazione in corso. Si dice terrorismo, si legge frontiere. Si dice trafficanti, si legge migranti. Geopolitiche di carta, scritte sulla sabbia che il vento spazzerà via a tempo debito.

«Italia e Niger hanno firmato ieri a Roma un accordo di cooperazione nell’ambito della Difesa siglato dai ministri Roberta Pinotti e Kalla Moutari. Ne ha dato notizia il ministero della Difesa senza rivelare però dettagli circa i contenuti dell’accordo che rientra nella strategia italiana di cooperazione con i Paesi africani interessati dai flussi di immigrati illegali diretti in Libia e poi nella Penisola. Il Niger è infatti il “paese chiave” di questi traffici, vero e proprio “hub” dei flussi migratori illegali diretti in Europa dall’Africa Occidentale e sub sahariana» (Roma 27 settembre 2017, Ministero della Difesa). I cittadini del Niger, mai consultati su queste operazioni militari, forse non lo diranno immediatamente ad alta voce, taceranno per timore, per rispetto o per ospitalità. Non sono contenti e non lo saranno mai. Sanno bene che le armi portano la guerra e le guerre portano morti. Loro che di sabbia se ne intendono lo sanno bene che alla fine a vincere sarà lei, la sabbia. E di ciò che avremo scritto coi militari non resterà che il vento. E la sabbia della vergogna.

Chi scrive è figlio di un partigiano di quelli veri e che ha scelto da tempo, come suo padre, di deporre le armi e ora sta con le mani nude, e coi piedi, nella sabbia di questa terra, tra questo popolo. Non dubitatene, onorevoli. L’ambasciata che avete voluto qui non sarà la mia, gli affari che state preparando per le ditte e per la finzione umanitaria non mi compreranno.

«Niamey ha già accordi di cooperazione militare tra i quali Francia (ex potenza coloniale presente con contingenti dell’Operazione Barkhane anti-jihadisti), Stati Uniti (nell’ambito dell’iniziativa anti terrorismo nel Sahel), Algeria, Canada e Germania che recentemente ha fornito decine di mezzi da trasporto all’esercito nigerino. Da anni il governo di Niamey lamentava l’assenza di cooperazione militare con l’Italia come riportò nei dettagli nel 2014 il reportage di Analisi Difesa del Paese africano “Roccaforte Niger”» (Ministero della Difesa). Non starò con voi, sappiatelo, mi troverete con l’altra Repubblica, quella che ha 59 anni di sabbia e di polvere mescolata al silenzio.

Se non ripudiate la guerra delle frontiere, io vi ripudio, consapevoli commercianti di carne migrante e di valori scritti col sangue di altri che vi hanno preceduto. Non mi interessa né la vostra fede né la vostra appartenenza politica, se fate questo per me siete solamente seguaci di quel dio che i soldi e il potere adorano e al quale sacrificano il futuro e la storia. Non starò mai dalla vostra parte è vi denuncerò finché avrò voce e forza per farlo. Del resto non sono l’unico a denunciare la deriva del Paese. Alex Zanotelli, missionario oggi in terra campana, l’ha appena scritto: «Quest’anno il governo italiano spenderà 24 miliardi di euro in Difesa, pari a 64 milioni di euro al giorno. Per il 2018 si prevede un miliardo in più. Ma è ancora più impressionante l’esponenziale produzione bellica nostrana: Finmeccanica (oggi Leonardo) si piazza oggi all’8° posto mondiale. Lo scorso anno abbiamo esportato per 14 miliardi di euro, il doppio del 2015! Grazie alla vendita di 28 Euro Fighter al Kuwait per otto miliardi di euro, merito della ministra Pinotti, ottima piazzista d’armi.

E abbiamo venduto armi a tanti paesi in guerra, in barba alla legge 185 che ce lo proibisce. Continuiamo a vendere bombe, prodotte dall’azienda Rwm Italia a Domusnovas (Sardegna), all’Arabia Saudita che le usa per bombardare lo Yemen, dov’è in atto la più grave crisi umanitaria mondiale secondo l’Onu. (Tutto questo nonostante le quattro mozioni del Parlamento Europeo!) L’Italia ha venduto armi al Qatar e agli Emirati Arabi con cui quei Paesi armano i gruppi jihadisti in Medio Oriente e in Africa (noi che ci gloriamo di fare la guerra al terrorismo!)». Mi troverete invece complice dell’altra Repubblica, tra la gente, e con le altre Repubbliche che disprezzate perché credete si tratti di mendicanti. Chi vi ha chiesto di intervenire non rappresenta il popolo della Repubblica di sabbia: l’avete pagato voi perché metta in vendita la sua sovranità. Sappiatelo: non abbiamo bisogno di voi, dei vostri soldi e dei vostri soldati. Le vostre armi, segno inequivocabile del vostro tradimento, si rivolgeranno un giorno contro di voi e allora sarà tardi per capire. Quel giorno vi accorgerete che avevate scritto tutto e solo sulla sabbia.

Dalla Repubblica di sabbia, dicembre 2017

P.S. Onorevoli parlamentari, eletti per rappresentare la volontà del popolo sovrano dal quale ricevete la legittimità e la rappresentanza, avete la possibilità, forse unica, di esprimere con un no l’unica ragionevole posizione al momento di scegliere il futuro della presenza militare italiana nel Sahel. Avrete l’opportunità e la responsabilità di scrivere un’altra storia della nostra presenza in Africa. Non sulla sabbia, ma sui volti. Quei volti che noi, missionari, abbiamo incontrato e raccontato per decenni. Siamo stati gli ambasciatori più veri del nostro Paese, incarnandone, con tutti i limiti legati all’umana fragilità, i valori più profondi di umanità e solidarietà, che si trovano, appunto, alla base della visione personalista e comunitaria della Costituzione italiana. Non tradite questi volti e non tradite questa tradizione di solidarietà sincera e profonda che abbiamo seminato con anni di presenza, accompagnamento e dedizione a questi popoli che sono diventati i nostri. Non traditeli, dovrete renderne conto di fronte alla storia, scritta da nomi di sabbia che serbano un futuro di pace per tutti.

 

La Camera approva l’avventura militare in Niger

dalla redazione di Dinamopress.it

18 gennaio 2018

A grande maggioranza, un Parlamento a camere già sciolte benedice la missione militare nel paese africano: un intreccio tra appropriazione neo-coloniale delle risorse e militarizzazione delle vie migratorie. Abbiamo intervistato Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo

Come era altamente prevedibile, la Camera ha approvato a grande maggioranza il finanziamento di una missione militare in Niger. Dinamo ne aveva già parlato a dicembre, quando l’annuncio era stato dato. In quell’analisi evidenziavamo i legami tra la missione, l’accaparramento neo-coloniale di risorse del paese e la volontà di prevenire l’arrivo dei migranti in Libia, paese politicamente instabile in cui è difficile bloccare le vie percorse da chi lascia l’Africa subsahariana, nonostante i ripetuti sforzi di Minniti di pagare le milizie libiche per fare il lavoro più sporco.

È tuttavia ulteriormente grave il contesto in cui tale annuncio avviene. Nel 2017 era stata faticosamente approvata una legge quadro finalizzata a normare l’approvazione delle operazioni militari all’estero. Uno dei punti cardine del provvedimento era che queste venissero approvate singolarmente dal Parlamento e non attraverso decreti legge. Al primo anno di applicazione si viene a creare la situazione paradossale per cui un Parlamento già sciolto viene riconvocato solo per approvare le missioni militari. È pertanto ovvio che se già il dibattito parlamentare è scarno, in un momento in cui le Camere sono ufficialmente sciolte e sono convocate solo per l’approvazione, la possibilità di discutere emendamenti e fare critiche è quasi inesistente.

Rispetto al finanziamento della missione l’arco parlamentare si è ritrovato in piena sintonia, perfino la Lega di Salvini ha detto di essere favorevole a «tutte le iniziative che permettono di difendere i nostri confini e gli interessi nazionali» anche se poi in aula si è astenuta. Evidentemente nelle mappe geografiche della Lega i confini dell’Italia si espandono fino al Sahel.

La migliore amica di Leonardo (l’ex-Finmeccanica), ovvero la ministra Pinotti si è nascosta dietro all’importanza del valore educativo della missione, visto che i 500 militari con il tricolore saranno impegnati per lo più in addestramenti.

Abbiamo chiesto di commentare questa scelta fuori tempo massimo del governo Gentiloni a Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo.

Ci puoi spiegare perché la scelta di finanziare la missione potrebbe anche essere collegata a necessità di bilancio? Quanto incidono le missioni militari nel bilancio complessivo del ministero della Difesa?

Le missioni militari, negli ultimi 10 anni, hanno stabilmente superato il budget di 1000 milioni di euro (cioè un miliardo) annuali. Sono sempre più strutturali, ed è strutturale che la Difesa possa attingere da fondi extra budget come quelli delle missioni all’estero che dipendono dal ministero dell’Economia e non dal bilancio standard del Ministero della Difesa. Il problema è che al momento le Forze Armate non sono più in grado di sostenere i costi di gestione con fondi regolari. Lo ammettono pure loro in documenti ufficiali. Senza i fondi delle missioni militari la Difesa non è in grado a oggi di garantire i costi base di gestione delle truppe. Se quindi quei fondi sono così indispensabili, le missioni possono essere una buona scusa per ottenere quei fondi stessi. Questo è molto grave, perché così pure le missioni diventano indispensabili indipendentemente dai loro scopi od obiettivi specifici.

Nel 2018 le spese per missioni all’estero saranno di 1280 milioni di euro, è un costo costante rispetto al 2017 ma risalito del 30% dal governo Monti ad oggi.

Pochi giorni fa, tramite l’inchiesta del New York Times, ha avuto ampia diffusione una notizia che voi avete spesso denunciato, cioè il ruolo della produzione di armi italiana nelle forniture dirette in Arabia Saudita. In generale, si può immaginare un collegamento tra la produzione e il commercio di armi e le missioni militari dell’esercito?

Non c’è un collegamento diretto, tra l’export di armi e le missioni militari. Il commercio d’armi è per lo più legato a fattori quali gli accordi di cooperazione militare e le partnership economiche tra gli stati, quelle che avvengono con visite reciproche di cortesia e incontri diplomatici. Un unico collegamento diretto è stato il Tour “Sistema Paese in Movimento” della portaerei Cavour che, tra 2013 e 2014 e anche grazie a contributi di aziende private, ha girato per tutta l’Africa per promuovere la industria militare italiana. Ma è stato un caso specifico, per fortuna, che però ha immediatamente garantito nuove commesse armate pure in Paesi che non avevano mai comprato armi “made in Italy”.

Non siamo i soli ad essere presenti in Niger. Quali altri potenze straniere sono coinvolte? E con quali interessi?

In Niger c’è una presenza militare costante francese. E’ una presenza che ha origine postcoloniale ed è utile non solo al controllo dell’immigrazione ma anche allo sfruttamento minerario, soprattutto di uranio. Il nostro ruolo infatti si può ipotizzare anche come moneta di scambio per avere maggiore “tranquillità” in Libia. Il governo italiano ha malvisto un certo attivismo di Macron verso Tripoli. Va comunque ricordato che la zona in cui le truppe saranno inviate è una zona molto calda. Il tentativo, come ha detto pure la Pinotti, è aumentare la nostra zona di influenza, ma non lo stiamo facendo in una zona di forti e molteplici tensioni e non è un elemento da sottovalutare.

Infine farlo in regime di prorogatio del potere del Parlamento è un errore procedurale e politico molto grave.

Ricordiamo che per la missione verranno spesi 49,5 milioni di euro. Denaro pubblico che verrà sottratto a scuole che cadono a pezzi, sanità precaria, reddito e molto altro ancora.

Ancora una volta i profitti della lobby dell’industria bellica, le necessità di bilancio del ministero, unite alla retorica antimmigrazione che trasversalmente caratterizza il Parlamento hanno avuto la meglio. A farne le spese, le migliaia di migranti subsahariani in fuga da guerre, persecuzioni, povertà. Da domani, lungo il loro lungo viaggio verso l’Europa, affronteranno in aggiunta anche l’ostacolo dei militari con il tricolore.


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