Forum. La stagione ecumenica di papa Francesco
Un incontro organizzato dalla FCEI in occasione del numero di Limes su papa Bergoglio
Roma (NEV), 30 aprile 2014 – “La Federazione delle chiese evangeliche in Italia ha guardato con attenzione a Papa Francesco sin dal giorno della sua elezione, apprezzandone lo stile e il linguaggio che fa presagire una nuova stagione ecumenica. Con iniziative come questo forum vogliamo ora capire quali scenari si sono effettivamente aperti e quali potranno delinearsi per rilanciare il dialogo ecumenico”. Lo ha affermato il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), pastore Massimo Aquilante introducendo – martedì 29 aprile a Roma presso l’aula magna della Facoltà valdese di teologia – il forum “Le conseguenze di Bergoglio” organizzato dalla Commissione studi della FCEI. “Quello di Francesco è un papato che allarga i confini della sua azione – ha esordito Lucio Caracciolo, direttore di Limes – consapevole della dimensione globale della chiesa cattolica e della complessità degli scenari in cui opera”. “Un papato che va analizzato con attenzione e partecipazione anche da noi protestanti – ha affermato Daniele Garrone, docente presso la Facoltà valdese di teologia – che siamo stimolati dal suo approccio evangelico, dalla sua comunicazione centrata sulla Parola e dall’efficacia della sua predicazione”. Entrando più nel merito delle questioni ecumeniche, il politologo Paolo Naso, coordinatore della Commissione studi della FCEI, ha sottolineato la rilevanza dell’impegno ecumenico del cardinale Bergoglio in Argentina e l’originalità del suo approccio al mondo pentecostale : “nel suo operato troviamo parole e gesti che attestano la volontà di comprendere un fenomeno spirituale dirompente – ha rilevato – superando la logica della competizione e dello scontro per cercare vie di dialogo e di testimonianza comune”. Molto atteso l’intervento del cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i testi giuridici e uomo forte del gruppo “martiniano” più vicino a Bergoglio: “un papa che ascolta – ha esordito – e che è sinceramente interessato a conoscere e capire chi gli sta di fronte. E questa propensione che si esprime così visibilmente nel suo stare con la gente e in tanti gesti che qualcuno giudica poco sacrali e opportuni per il capo di una Chiesa, esprimono in realtà la sua interpretazione del ruolo di pastore di una chiesa che è in primo luogo una comunità di uomini e donne che credono in Dio e in Gesù. E questo atteggiamento – ha concluso – è un grande viatico ecumenico”. “Un incontro ricco e importante – ha commentato a conclusione dell’incontro Gian Mario Gillio, direttore della rivista Confronti e coordinatore del Forum – che dà la misura di una stagione interessante delle dinamiche ecumeniche”.
Canonizzazioni. Bernardini: non sono un evento ecumenico
Una precisazione del moderatore della Tavola valdese
Roma (NEV), 30 aprile 2014 – “Le canonizzazioni non sono un fatto ecumenico. Noi protestanti le guardiamo con rispetto ma non ci appartengono e non possono essere celebrate come un evento di tutta la cristianità”. Lo ha precisato il moderatore della Tavola valdese, pastore Eugenio Bernardini, a poche ore dalla proclamazione della santità dei papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. “L’eccezionale attenzione dei media a questo evento – ha proseguito il Moderatore – non giustifica che si presenti la canonizzazione di due papi come un fatto che riguarda tutti i cristiani. Non è così perché il nostro ecumenismo e l’attenzione al ruolo svolto da questi due papi non cancella la critica teologica del protestantesimo al culto dei santi. Richiamiamo quindi i giornalisti a un’informazione rigorosa e accurata, rispettosa delle distinzione tra le diverse tradizioni cristiane e delle specificità teologiche di ogni confessione cristiana. E questo proprio perché siamo ecumenici e, tanto più nel clima di dialogo avviato da Papa Francesco, abbiamo a cuore il dialogo con i fratelli cattolici e ortodossi. Ma sempre nella chiarezza e nel rispetto della nostra e dell’altrui identità teologica”.
Poker di papi
di Fulvio Ferrario
Roma (NEV), 30 aprile 2014 – Proponiamo in anteprima l’editoriale di Fulvio Ferrario, docente di teologia sistematica presso la Facoltà valdese di Roma, pubblicato sul numero 17 del settimanale Riforma.
Tra le «imprecisioni», chiamiamole così, circolate in questi giorni, spiccano quelle di un prestigioso autore di bestseller religiosi, il quale spiega su un quotidiano che la «santità» sarebbe espressione della «comunione ontologica» tra il divino e l’umano, in quanto i «discepoli migliori da semplici uomini giungono alla possibilità di partecipare alla condizione divina»: insomma, sono immagine di Dio più degli altri. Ciò esprimerebbe un’alta considerazione dell’umano, caratteristica dell’ortodossia e del cattolicesimo, mentre il protestantesimo, con la sua antropologia pessimista, nega la possibilità per l’essere umano di conseguire una «natura pienamente riconciliata». Anziché lanciarsi in rettifiche elementari, ma forse un poco pedanti in questa sede, può essere utile ribadire che la fede cristiana, e dunque anche quella evangelica, ha un decisivo bisogno di testimoni. È vero, infatti, che lui solo è il Santo (lo ripete anche la liturgia cattolica), lui solo è buono, uno solo è il Maestro e, se è per questo, anche il Buon Pastore; ma è anche vero che tutti e tutte abbiamo bisogno di esempi che mostrino, anche (e proprio: benché all’editorialista non piaccia il «simultaneamente giusto e peccatore» di Lutero) nella contraddittorietà e nel peccato che caratterizzano la condizione umana, come cambia la vita quando il messaggio evangelico è vissuto come se fosse vero. Nelle epistole del Nuovo Testamento, la categoria di «imitazione» di Gesù (e anche dell’apostolo: I Cor. 4, 16; 11, 1 e altrove) corrisponde a quanto nei primi tre evangeli è espresso dal vocabolario del «seguire Gesù». Esistono un seguire e un imitare che possono essere fonte di ispirazione per molti.
Nella Bibbia, naturalmente, «santi» sono i credenti in quanto tali: tra essi, tuttavia, alcuni e alcune vivono la santificazione, appunto, in termini particolarmente significativi. Un esempio, assai noto: il film Uomini e dei (titolo storpiato, nella lettera e nello spirito, dall’italiano Uomini di Dio), che racconta la vicenda dei monaci di Tibhirine, uccisi (non è chiaro da chi) nel 1996, è, nella sua laica sobrietà, uno splendido esempio di agiografia, cioè, alla lettera, di discorso sulla santità, che mi fa venire una gran voglia di provare a essere cristiano, senza necessariamente farmi monaco né andare sulle montagne dell’Atlante. È superfluo precisare che tutto ciò non richiede una certificazione ecclesiastica; e che non ha nulla a che vedere con qualcosa come un «culto dei santi»: anzi, il testimone è tale precisamente in quanto rinvia ad altro, in questo caso a un Altro. Sussiste un legame tra questo tema e quanto avvenuto in piazza S. Pietro, domenica 27 aprile? Secondo il papa in carica sì, in quanto i due nuovi «santi»: «hanno guardato le ferite di Gesù»; erano «pieni di parresia [franchezza nella testimonianza] dello Spirito santo»; «hanno dato alla chiesa e al mondo testimonianza di Dio e della sua misericordia»; «hanno collaborato con lo Spirito santo per ripristinare e aggiornare la chiesa secondo la sua fisionomia originaria». Non ho alcun titolo per commentare la valutazione delle persone, né l’associazione delle due figure. Quanto ai criteri elencati (compreso, sia detto come prevenzione di orticarie pseudoprotestanti, quello della «collaborazione»: Paolo lo riferisce agli apostoli, I Cor. 3, 9; II Cor. 6, 1), non è possibile dissentire: si applicherebbero assai bene ai Riformatori.
La comunicazione di massa, tuttavia, ha le sue regole e Roma le utilizza con disinvoltura. Le parole cedono il posto alla nitidissima immagine: la chiesa cattolica cala un poker di papi, due in carne e ossa e due elevati, come dicono, «alla gloria degli altari». Il tripudio del «popolo di Dio» e l’ossequio dei potenti sono indirizzati, nei fatti, a un papato che celebra se stesso. Impossibile, almeno a me, reprimere un borbottio protestante un poco spazientito ma, detto questo, non mi scandalizzo. Il papato è un centro di potere ed è tale anche perché sa accendere i riflettori su di sé: una rivista di «geopolitica» (più o meno la disciplina che una volta si chiamava «strategia») dedica un numero al mite Francesco, inteso come Bergoglio; e domenica 27, nella chiesa valdese di piazza Cavour, meno popolata del solito (non era facile circolare a Roma), mi tornava in mente l’«Andreotti-pensiero»: il potere logora chi non ce l’ha. Resta il fatto che i quattro criteri menzionati da Bergoglio hanno tutti direttamente a che fare con uno che è stato non solo logorato, ma torturato e ucciso dal potere che non aveva: al quale anzi, secondo Fil. 2, 6-11, aveva consapevolmente rinunciato. Pia ma magra consolazione, dirà qualcuno, a fronte del potere reale ed esibito. Un pensiero, ripeto, che non mi è estraneo, ma assai poco «santo». Meglio, allora, spegnere il telegiornale e rivedere Uomini e dei.
Lascia un commento