Il pensiero della settimana, n. 503
Forte nella denuncia, debole nei rimedi
Anche nel messaggio per la giornata mondiale della pace 2015, Non più schiavi ma fratelli, papa Francesco ha confermato le sue caratteristiche di essere vigoroso nella denuncia, meno pregnante nella diagnosi e debole nella terapia. Parola di fuoco, analisi generiche, rimedi improbabili. Impressiona l’elenco delle nuove forme di schiavitù che riguardano lo sfruttamento dei lavoratori e lavoratrici anche minori, i migranti, vari tipi prostituzione, il traffico e il mercimonio di organi, l’organizzazione su vasta scala dell’accattonaggio, forme mascherate di adozione internazionale e via dicendo. Le cause sono ricercate nell’ambito, valido ma non specifico di oggi, del peccato e dell’adorazione del dio denaro. I rimedi si risolvono in auspici rivolti agli Stati, alle organizzazioni internazionali, alle imprese e alla società civile.
Ognuno di questi temi richiederebbe, in realtà, analisi di straordinaria complessità. Il traffico di organi, per esempio, costituisce un’aberrazione del tutto contemporanea. Esso, oltre alle evidenti ingiustizie legate al dio denaro e al peccato dello sfruttamento compiuto dall’uomo sull’uomo, implica una valutazione sul mondo della tecnica e su visioni antropologiche che impongono la prosecuzione a ogni costo della vita biologica (rispetto alla quale il magistero cattolico si rivela accomodante o, in certe forme, addirittura colluso). Come sempre l’offerta presuppone una domanda. Ci sono i poveri che subiscono gli espianti, i criminali che li mettono a disposizione sul mercato, ma ci sono anche gli acquirenti e i chirurghi che li impiantano. In tutti questi passaggi il dio denaro c’entra , ma non basta appellarsi ad esso per spiegare ogni cosa.
Curare il mondo è un’impresa che va al di là delle capacità umane. Rispetto a esse un papa può fare poco. Su questo terreno la dimensione retorica, intesa, ben s’intende, nel senso nobile del termine, resta, in pratica, l’unico campo percorribile. Diverso il discorso quando si guarda all’interno della Chiesa. Lì le capacità di intervenire sono reali. In qualche modo l’opinione pubblica – almeno cattolica – lo ha compreso dando grande attenzione al discorso tenuto da Francesco alla curia romana il 22 dicembre scorso. Esso è stato imperniato sulla denuncia di ben quindici mali che affliggono la curia – ma più estesamente ciò vale quasi per ogni altra istituzione. Le reazioni prevalenti sono state quelle di ipotizzare una forte tensione tra papa e curia. Non sono mancate ipotesi dell’esistenza di manovre antipapali. In cerca di adesioni, sta ancora circolando un appello, dal tono e dai contenuti fuori misura, redatto da don Paolo Farinella. Esso, prendendo lo spunto da un articolo critico (o perplesso) di Vittorio Messori apparso in prima pagina del Corriere della sera del 24 dicembre, si schiera in difesa del papa minacciato da supposte oscure manovre.
Gli ambienti curiali conservatori, con l’appoggio di non meglio precisate lobby, starebbero orchestrando un attacco senza precedenti nei confronti di papa Francesco (prima pagina del Corriere vigilia di Natale! Che si vuole di più?).
Bisogna perciò mobilitare truppe a difesa. I critici di papa Ratzinger sono diventati i primi difensori del papato. Il loro schema sembra essere solo quello «papa buono – papa cattivo». In modo più meditato Vito Mancuso (La Repubblica 23.12.2014) ha giustamente rilevato l’impossibilità storica di separare la curia dal papato. Si fanno a ripetizione santi papi che hanno dato scarsa prova di saper governare organismi da loro nominati.
In effetti va detto che fin dall’origine medievale la curia è stata l’espressione della crescente centralità assunta dal papa. Gli storici hanno mostrato che in ciò è stata modello agli stati moderni. Il problema della riforma della curia non è quello di cambiare il personale e non è neppure quello di inserire qualche donna in ruoli dirigenziali. La questione sta nel fatto che una autentica riforma della curia deve comportare una corrispondente radicale riforma del ruolo del papa. L’indicazione l’aveva data proprio Francesco nel suo presentarsi dalla loggia di San Pietro come vescovo di Roma. Ma un vescovo di Roma che presiede la molteplicità della Chiese nella carità, può essere un capo di stato e centro indiscusso di un’amministrazione che riguarda la Chiesa universale?
Il discorso alla curia romana di Francesco comincia in modo sconcertante. Abbagliati dai successivi ripetuti rimproveri e denunce, i più non hanno colto questo aspetto. Naturalmente la maggior parte dei giornalisti non l’ha fatto anche a causa della loro ben nota incompetenza teologica (prima o poi ci si dovrà chiedere se la figura stessa del vaticanista non presupponga una qualche forma di secolarizzazione). La coscienza ecclesiale, a iniziare proprio dall’ala conciliare, invece non avrebbe dovuto trascurare il passaggio. Dice Francesco:
il Concilio Vaticano II ricorda che «nella struttura del corpo mistico di Cristo vige una diversità di membri e di uffici. Uno è lo Spirito, il quale per l’utilità della Chiesa distribuisce la varietà dei suoi doni con magnificenza proporzionata alla sua ricchezza e alle necessità dei ministeri (cfr. 1 Cor 12,1-11)». Perciò «Cristo e la Chiesa formano il “Cristo totale” – Christus totus -. La Chiesa è una con Cristo».
È bello pensare alla Curia Romana come a un piccolo modello della Chiesa, cioè come a un “corpo” che cerca seriamente e quotidianamente di essere più vivo, più sano, più armonioso e più unito in sé stesso e con Cristo.
In realtà, la Curia Romana è un corpo complesso, composto da tanti Dicasteri, Consigli, Uffici, Tribunali, Commissioni e da numerosi elementi che non hanno tutti il medesimo compito, ma sono coordinati per un funzionamento efficace, edificante, disciplinato ed esemplare, nonostante le diversità culturali, linguistiche e nazionali dei suoi membri.
Usare l’immagine di Chiesa come corpo mistico, per non parlare del rimando paolino, per applicarlo alla curia fatta di Dicasteri, Consigli, Uffici, Tribunali, Commissioni rasenta l’incredibile. Lo stesso vale per la scelta di presentare la Curia Romana come modello della Chiesa. Per dirla come andrebbe detta, si tratta di veri e propri errori teologici ed ecclesiologici: si assume il punto in cui il cattolicesimo romano ha contribuito ad avviare il processo di secolarizzazione moderna per presentarlo come «piccolo modello di Chiesa».
Naturalmente papa Francesco non ignora queste cose. Allora perché si è espresso in questi termini? Il suo discorso va inquadrato, come sempre, nel consapevole primato da lui attribuito alla pastorale e alla guida spirituale. È una via che obiettivamente sta aiutando molti. Bisogna però essere consapevoli che essa, da sola, non è in grado di gettare le basi per alcuna seria riforma della Chiesa.
Piero Stefani
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