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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Pietro Ingrao, l’uomo in ricerca che riconobbe i suoi errori. Un fratello, più che un compagno.

Ingrao l’eresia del ponte

28 settembre 2015 – Tonio Dell’Olio
Per ricordare Pietro Ingrao scomparso ieri all’età di 100 anni, ripropongo l’articolo che avevo scritto per il n. 7 di Rocca dello scorso aprile in occasione del suo compleanno.

Il mondo è pieno zeppo di uomini mediocri che camminano allineati e coperti. Sono quelli che del rischio vedono solo il possibile esito nefasto e preferiscono abitare il guscio delle proprie certezze ideologiche per trovarsi sempre dalla parte della propria maggioranza. Di partito o di squadra, di gruppo o di condominio. Ce ne sono altri che invece hanno la vocazione della ricerca instancabile della verità ovunque essa si nasconda. Fosse anche nel campo che tutti gli altri considerano avversario o nei luoghi inediti, inesplorati e indefiniti dell’arte, dell’ascolto, dello stupore. Sono gli uomini-ponte. Sono capaci di spendere un’intera vita per lasciare un’impronta che corrisponde al proprio contributo nella creazione di un mondo più giusto per tutti. Nello studio della casa di Pietro Ingrao, il comunista, insieme alle fotografie che lo ritraggono in scene di vita familiare non ce n’è alcuna in cui è seduto sullo scranno più alto dell’aula di Montecitorio o accanto ai personaggi che “hanno fatto la storia”. C’è invece la foto di un abbraccio tra lui e un vecchio monaco, Benedetto Calati abbate di Camaldoli. C’è la tensione di uno sporgersi reciproco di ciascuno verso l’altro. Ciascuno nello sforzo di uscire dal proprio mondo per andare alla ricerca del mondo dell’altro. Come quando nel 1967, nel pieno della contrapposizione apparentemente inconciliabile tra comunismo e cristianesimo, Pietro Ingrao accetta l’invito a portare il proprio contributo al dialogo e alla riflessione sull’Enciclica Populorum Progressio di Paolo VI al Corso di studi cristiani della Pro Civitate Christiana di Assisi. In uno scritto occasionale, 41 anni dopo, così tornerà su quel momento: “Quell’incontro fu per me di grande emozione e fu parte di un dialogo più largo e molto intenso che io ebbi con il mondo cattolico dell’Umbria, terra in cui ho lavorato molto. E senza dubbio la questione del dialogo fra esperienza religiosa e lotta per la liberazione degli oppressi è stata nella mia vita un punto chiave. Fui stimolato a quel dialogo da figure di forte rilievo etico e politico come Giorgio La Pira e il carissimo don Milani, e non posso dimenticare la tappa che in questo dialogo fu per me il soggiorno all’eremo di Monte Giove dove conobbi la figura aperta e indimenticabile di padre Benedetto Calati (…)”. Don Giovanni Rossi, fondatore della Cittadella di Assisi ricevette dure reprimende per quella che veniva considerata quanto meno un’imprudenza, un prestarsi ingenuo alla strumentalizzazione rossa. Parte del mondo cattolico fece fatica a riconoscersi in quell’apertura. Ma i sospetti si addensarono anche nel campo avverso. A Pietro Ingrao si rimproverava un cedimento ideologico che non era funzionale alla ricerca di consenso al punto che, alcune testate della stessa sinistra, non esitarono a mettere all’indice le “frequentazioni sospette” del leader della sinistra del PCI e a dare in pasto la notizia di una sua presunta conversione o, addirittura, di un suo prossimo ritiro dalla politica per abbracciare l’eremo. La verità è che quest’uomo che in questi giorni (30 marzo) festeggia i suoi cento anni ha attraversato il mondo col coraggio e la profondità della poesia. La concretezza della politica non lo ha deteriorato come un cibo scaduto, al contrario proprio oggi siamo in grado di considerare meglio la sua capacità di vedere lontano, nella profondità della politica come arte del bene e della sua capacità di sporgersi per raccogliere e accogliere il meglio e il bello alla ricerca della verità. Un eretico.

Buon compleanno, Pietro Ingrao

RICORDO DI UNA LEGISLATURA VISSUTA FIANCO A FIANCO SUI BANCHI DELLA CAMERA

Omaggio a un grande protagonista della politica italiana dell’ultimo settantennio nel suo centesimo anniversario, 30 marzo 2015.
Nell’ottava legislatura (1979-1983) i deputati del Gruppo comunista alla Camera erano distribuiti, nei due spicchi del lato sinistro dell’emiciclo, in rigoroso ordine alfabetico. Questo fece sì che il mio seggio fosse collocato tra Carla Gravina e Pietro Ingrao. Purtroppo Carla Gravina (per i giovanissimi: una bella, colta e intelligente attrice degli anni ’60 e ’70) non veniva quasi mai; invece Pietro Ingrao, nonostante che fosse reduce dalla Presidenza della Camera nella legislatura precedente e tra i massimi dirigenti del partito, era disciplinatissimo: raramente mancava una seduta. Erano sedute lunghissime, anche per i frequenti episodi di ostruzionismo del Gruppo radicale; così la recluta imberbe ebbe una infinità di occasioni di colloquio con l’illustre vicino di banco. Di quei colloqui, oltre al racconto di alcuni episodi di vita privata della sua gioventù, ricordo le spiegazioni “dall’interno” del nuovo regolamento della Camera di cui lui era stato artefice, insieme ad Aldo Moro, negli anni precedenti: un regolamento funzionale al regime sostanzialmente consociativo costruito da Dc e Pci, in un contesto che non consentiva il loro alternarsi al governo del Paese. Ricordo anche il suo racconto della vicenda soffertissima del ’56, quando per decisione fermissima di Palmiro Togliatti il Pci si schierò in difesa dell’invasione sovietica dell’Ungheria; e Ingrao non fece la scelta di Antonio Giolitti di lasciare il partito, ma per questo perse il sonno. Ricordo infine questo: che mentre io cercavo di far parlare lui della storia del Pci, lui cercava sempre di far parlare me delle cose infinitamente più piccole di cui mi ero occupato negli anni precedenti nella Cgil, o di cui mi occupavo in quegli anni come membro della Commissione Lavoro; e mostrava su di esse un interesse non solo di cortesia. All’epoca conducevo battaglie a tratti dure, in seno al Gruppo e nella Cgil da cui provenivo, per il riconoscimento legislativo del part-time e del lavoro temporaneo tramite agenzia, ma soprattutto contro il monopolio statale del collocamento: a queste mie battaglie si riferiva il compagno deputato Emilio Pugno, capo-operaio della Fiat, quando mi diceva “tu sei l’ala destra, ma non del Partito, della borghesia”. Invece Ingrao, che pure non aveva simpatie per le ali destre di alcun tipo, lesse con interesse quello che stavo scrivendo su quei temi e fu lui a presentarmi a Barcellona, Pietro anche lui, perché gli proponessi la pubblicazione nella collana allora da lui diretta presso l’editore De Donato di quello che nel 1982 sarebbe diventato Il collocamento impossibile: il libro che l’anno successivo avrebbe causato la perdita da parte mia del seggio parlamentare. Può apparire strano, ma da quei quattro anni di vicinanza ho tratto l’immagine di una persona appassionatamente di sinistra, certo, ma anche profondamente liberale, almeno per quel che riguarda il mondo delle idee. Buon compleanno, Pietro!

Pietro Ichino

Pietro Ingrao per Gaza – Piombo fuso

Guarda:
vedi come osti¬nate
tor¬nano dal cielo le bombe fio¬renti, e furenti
calano sulle strade, spez¬zano corpi,
ardono case, testarde inse¬guono
gli stu¬piti fan¬ciulli,
gri¬dano
can¬tano l’inno alla morte
senza stan¬carsi mai…
Chi siete,
per¬ché illu¬mi¬nate le notti,
insan¬gui¬nate le vie:
per¬ché siete in ansia
per¬ché vi serve la strage degli inno¬centi
e forse dispe¬rate sull’esistere
tor¬nare a can¬tare la glo¬ria
dell’uccidere di massa,
affi¬date la pace alla morte… Voi
così senza spe¬ranza
se sol¬tanto
l’assassinio di massa può assi¬cu¬rarvi la vita
e solo le male¬di¬zioni e le lacrime
pos¬sono difen¬dervi.
E non vedete, non spe¬rate
altra sal¬vezza
per l’uomo e per il figlio dell’uomo
che la morte corale.
Voi che venite da un cam¬mino di lagrime
e ora senza lume di tre¬gua
semi¬nate nuovo pianto inno¬cente.
Da lon¬tano
vi scru¬tiamo impo¬tenti:
e null’altro sap¬piamo
che invo¬care da voi l’elemosina della pace.
Noi che veniamo da lotte di secoli
con¬dotte per tutte le terre infi¬nite di que¬sto globo rotondo
in cui dato a noi
fu di vivere,
e sem¬briamo ora
solo capaci
di edu¬carci all’indifferenza.
O scru¬tare alli


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