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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Presentata a Roma l’autobiografia di Giovanni Franzoni “Un cattolico marginale”

Quel segnale della Chiesa all’abate ribelle Dom Franzoni

di Paolo Rodari – la Repubblica 30 maggio 2014

Fino al 1973 era abate nullius , cioè non dipendente da nessun vescovo ma solo dal Papa, alla
basilica di San Paolo Fuori le Mura a Roma. Teologo ascoltato da Paolo VI, il più giovane italiano
al Concilio Vaticano II. Poi l’estromissione, arrivata dopo la denuncia delle collusioni fra Chiesa e
poteri forti, la presa di posizione a favore del divorzio, la dichiarazione di voto per il Pci. Le sue
omelie erano come fuoco, a favore della Chiesa dei poveri e contro il capitalismo. Allora era una
voce che non si poteva ignorare.

Oggi dom Giovanni Franzoni (“dom”, dal latino dominus, è predicato d’onore attribuito ai monaci
benedettini), classe 1928, è un prete ridotto allo stato laicale ma non scomunicato, fra i primi
animatori delle Comunità di base che cercano di cambiare le strutture della Chiesa senza una
bandiera che connoti il loro status di credenti. La sua Comunità ha sede a Roma in un locale spoglio
ma dignitoso di via Ostiense. Tavoli di legno attorno ai quali ancora oggi Franzoni, con discrezione,
concelebra messa con gli amici. Fra loro anche alcuni sacerdoti: spezzano il pane recitando
l’anafora assieme. «Un cattolico marginale», si definisce lui stesso nell’“Autobiografia” pubblicata
da Rubbettino, defilato e, per anni, dimenticato dalle gerarchie.

Anche se, due settimane fa, un segno per lui fausto è arrivato: alla presentazione del suo libro in Campidoglio è intervenuto, a sorpresa, anche Matteo Maria Zuppi, vescovo ausiliare di Roma.

Sono anni che Franzoni non indossa l’abito nero dei monaci benedettini. Vi ha rinunciato? «Me
l’hanno strappato di dosso!», risponde. Gli occhi che hanno quasi perso l’uso della vista si
spalancano. Il bastone vibra verso il cielo. Poi sorride: «Tutto accadde per un’illuminazione».
Divina? «Credo di sì. In Vaticano mi denigravano. Dicevano che mi ero venduto al Pci. Una
domenica in Basilica un giovane pregò perché suo figlio potesse crescere in una Chiesa dove non si
fa speculazione finanziaria come aveva da poco fatto, con tanto di deplorazione pubblica da parte
dell’Associazione Bancaria Internazionale, lo Ior.

Paul Mayer, a quel tempo segretario dei Religiosi, reagì. Mi disse che visto che ero così “democratico” dovevo accettare le sue condizioni: sottoporre ogni atto pubblico al parere dei superiori. Presi tempo. In una riunione della Comunità si alzò Vincenzo Meale. Disse che dovevo obbedire perché altrimenti sarei stato l’unico a pagare. Però, spiegò, “è certo che se accetta le censura, la mia esperienza con la Comunità finisce qui”. Fu un lampo, un’illuminazione appunto.

Risposi: “Ho capito”. E il lunedì seguente dissi a Mayer che volevo dimettermi. E così ebbe inizio la mia nudità”. Prego? “Spogliato di ogni sicurezza, mi trovai fuori dall’apparato ecclesiastico. Certo, non ero ancora sospeso a divinis. Fu dopo che dovetti lasciare l’abito».

Dopo il Concilio la Chiesa aveva aperto al rinnovamento. Franzoni la pungolava, deciso a tornare
sui testi biblici per recuperare la figura storica di Gesù e il suo autentico messaggio. Fu Pier Paolo
Pasolini a scrivere di lui: «Non c’è sua predica che prendendo convenzionalmente il pretesto dal
Vangelo o dalle Lettere di San Paolo, non arrivi implicitamente ad attaccare il potere». Ben altro
dicevano oltretevere. Un giorno in Basilica gli mandarono l’abate Tonini, dei monaci Silvestrini.

Disse ai monaci che vivevano con lui che il Papa piangeva per causa sua. In pochi gli rimasero
amici. Fra questi il cardinale Pellegrino. All’inizio del ‘74 Franzoni aveva già lasciato la Basilica e
abitava in un appartamentino di via Ostiense. Pellegrino andò a trovarlo, e alla domanda su perché
fosse a Roma rispose: «Non ho niente da fare qui, sono venuto solo per chiederti scusa per come ti
abbiamo trattato».
Fu sempre nel ‘74 che Il Tempo esultò così alla notizia delle sue dimissioni: «L’abate rosso si è
messo da parte: speriamo che stia tranquillo». Ma fermo non stava. Girava l’Italia per il referendum
sul divorzio. Il cardinale Poletti, vicario del Papa a Roma, gli disse di cercarsi una diocesi in cui
incardinarsi. Lui trovò Frascati. Poletti gli disse che era troppo vicina a Roma. «C’è un
chilometraggio minimo, vostra Eminenza?», gli chiese Franzoni. Nessuna distanza era sufficiente.

Così l’ex abate aprì una sua Comunità di base, senza attendere il placet di nessuno. Poletti preparò
una lettera per chiedere spiegazioni. La recapitò presso la «sedicente Comunità cattolica di base».
Fu l’unico appellativo, sedicente, che l’istituzione riuscirà a darle in tanti anni.

La riduzione allo stato laicale avvenne il 4 agosto 1976. I motivi furono che Franzoni si era detto
favorevole all’aborto «perché se esiste deve essere regolamentato», e aveva dichiarato la propria
adesione al Pci. Quando arrivò la lettera Franzoni era a Nusco, in provincia di Avellino. Dice:
«Andai in trattoria con i ragazzi. A metà del pranzo mi si bloccò lo stomaco, la gola. Non riuscii a
deglutire nulla. Per oltre due anni ho fatto fatica a inghiottire cibo asciutto».

Da quel giorno Franzoni ha fatto una sua strada. Nessuno, entro le mura leonine, gli ha mai mandato
un segnale. Anche per la messa celebrata da Ratzinger nel 2012 con i padri conciliari nessuno si è
ricordato d’invitarlo. Il cattolico marginale si è eclissato sempre più ai margini. Fino al lieve e
inatteso gesto di due settimane fa.


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