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Scola, l’anti-Martini a Milano. Un articolo di Luigi Sandri

 

Scola, l’anti-Martini a Milano

  

(su “Il Trentino” del 18 giugno 2011)

  

Un anti-Martini a Milano? Se (se) il nuovo arcivescovo di Milano sarà l’attuale patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola, il pontefice regnante avrà, con una sola mossa, posto il prescelto in “pole position” nel futuro conclave e, nel contempo, garantito un altro tassello per assicurare una interpretazione restrittiva del Concilio Vaticano II in campo ecclesiologico, assai diversa da quella, più lungimirante, suggerita dal cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo ambrosiano dal 1979 al 2002, e anche, in campo pastorale, da quella portata avanti dal cardinale Dionigi Tettamanzi, in procinto di dimettersi dalla cattedra di san Carlo, perché ha compiuto in marzo i 77 anni (l’età delle dimissioni dei vescovi è a 75; per i porporati di solito è differita di due anni).

       Pare che, per Milano, sia stata presentata al papa, dieci giorni fa, una terna che vedrebbe il nome di Scola dominare su quello di mons. Aldo Giordano, osservatore vaticano al Consiglio d’Europa, e di mons. Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini; secondo altre voci, invece, il terzo nome sarebbe quello di mons. Pietro Parolin, nunzio in Venezuela.

     Scola è sempre stato un fervido ammiratore di Joseph Ratzinger, come teologo e come papa, da questi ricambiato con grande stima, tanto è vero che lo volle relatore generale al Sinodo dei vescovi del 2005 dedicato all’Eucaristia. Ma in Lombardia – ove è nato nel novembre 1941 – Scola non ebbe molti successi, anche se qui legò con Comunione e Liberazione (CL, movimento di cattolici intransigenti, almeno così li definiscono i loro critici). Nel ’91 fu nominato vescovo di Grosseto, nel ’95 divenne rettore della Pontificia Università Lateranense, e nel 2002 papa Wojtyla lo volle a Venezia.

 

     Ecclesiologicamente, Scola è assai lontano da Martini; infatti, fu freddissimo sulla proposta di questi che, al Sinodo dei vescovi del 1999, propose, seppure non usò questa parola, un “Nuovo Concilio”, per dibattere sui seguenti temi: i necessari sviluppi dell’ecclesiologia di comunione prospettata dal Vaticano II, la “carenza già drammatica di ministri ordinati” (sottinteso: la questione del celibato dei preti), la posizione della donna nella società e nella Chiesa, la partecipazione dei laici ad alcune responsabilità ministeriali, la sessualità, la disciplina del matrimonio, la prassi penitenziale, il rapporto tra democrazia e valori e tra leggi civili e legge morale. Era un manifesto che, implicitamente, criticava le scelte di papa Wojtyla e del cardiale Ratzinger che, su tutti questi argomenti avevano sì parlato e deciso ma, lasciava intuire l’arcivescovo, in modo non soddisfacente.

 

     Nemmeno Tettamanzi ha fatto suo questo programma anche se, in prospettiva, ha imboccato quel solco, con una pastorale mite, attenta e anche coraggiosa, come quando, mentre un cardinale a Roma parlava di “omicidio” nel caso del “distacco della spina” ad Eluana Englaro, lui chiese silenzio e preghiera. Perciò, l’eventuale promozione di Scola a Milano, avrebbe il sapore di una chiusura di una stagione troppo ardita per Roma, che desidera invece un assestamento su una interpretazione rassicurante del Vaticano II. E’ vero che, a Venezia, il patriarca ha varato iniziative interessanti per approfondire ad esempio i rapporti con il mondo musulmano, e questo non è un dettaglio trascurabile; ma, sul piano ecclesiologico, la sua ascesa sulla cattedra di Ambrogio e Carlo vorrebbe dire sigillare la stagione martiniana. E non può non far riflettere che il papa scelga Scola, già legato a CL, mentre a Milano la gente ha voluto come sindaco Giuliano Pisapia. Ma vi è di più: oltrepassando la Lombardia e l’Italia, con la sua decisione Benedetto XVI mette in particolare risalto il “promosso” nella cerchia dei porporati. Ma un proverbio che a Roma si ripete nelle grandi occasioni, recita: “Chi entra in conclave papa ne esce cardinale”.

 Luigi Sandri                               


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