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Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Sinodo dei Vescovi :tre settimane di dibattiti

PRIMA SETTIMANA DEL SINODO DEI VESCOVI SULLA PAROLA DI DIO LA CURIA ROMANA BACCHETTA I TEOLOGICI E IL CARDINALE SEPE INVITA ALLA CARITA’ 

SI E’ CHIUSA la prima settimana del Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio. Senza particolari scossoni, fatta eccezione in sostanza per la giornata iniziale che ha registrato qualche sussulto, mettendo subito in chiaro la posta in gioco dell’assise: l’interpretazione della Bibbia e il ruolo del Magistero. Magistero – vivo e non statico -, a cui la costituzione dogmatica del Vaticano II sulla divina rivelazione, la Dei Verbum, riconosce <l’ufficio di interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta o trasmessa>, per precisare subito dopo che lo stesso <non è superiore alla Parola di Dio ma a essa serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso>. Ovvero, il Magistero vivo dà l’autentico significato delle Sacre scritture, ma con uno spirito di servizio per la Bibbia e senza insegnare ciò che nel testo non è espresso o, peggio, quel che il Magistero intende far passare per rivelazione divina.

 

Ad accendere la miccia, davanti ai 253 padri sinodali, è stato il cardinale William Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. Nel suo intervento ha condannato <le interpretazioni soggettive della Bibbia>, richiamando <la responsabilità del Magistero come interprete autentico della Parola di Dio>. Un monito forte, diretto ai teologici cattolici che, negli ultimi decenni, hanno posto sotto la lente di ingrandimento le contraddizioni e gli interrogativi non risolti della vita di Cristo. E, più in generale, del Vangelo. Tutti studiosi che hanno pagato cara – chi più chi meno – la loro libertà scientifica. Con provvedimenti dell’ex Sant’Uffizio. A dar man forte a Levada è sceso in campo anche il cardinale Marc Quellet, relatore generale del Sinodo. Per il porporato urge <un’enciclica sull’interpretazione della Scrittura nella Chiesa e il rapporto tra i due testamenti> perché <le errate interpretazioni della Bibbia> e <le omelie non aiutano> dinanzi alla <confusione propagata da fenomeni mediatici come il Codice da Vinci>. E’ tempo di arrestare <il clima di tensione, spesso malsano, tra teologici cattolici e Magistero ecclesiastico>. Insomma, occorre che sia il papa a mettere in riga gli studiosi, anche se esiste già la Dei Verbum che regola il rapporto tra teologi o esegeti e Magistero, ponendo questi studi <sotto la vigilanza del sacro Magistero>. come si legge nel provvedimento conciliare. Ma per Quellet non basta.

 

Sempre nella prima giornata si è avuto l’intervento del rabbino capo di Haifa Shear Yesuv Cohen. Un unicum per la storia del Sinodo, organismo istituito nel 1965 da Paolo VI, attraverso il motu proprio Apostolica sollecitudo. E non è mancato un fuori programma: <Crediamo che Pio XII non dovrebbe essere beatificato o preso a modello perché ha mancato di salvarci o di levare la sua voce, anche se ha cercato segretamente di aiutare>, ha dichiarato ai giornalisti il rabbino, una volta uscito dall’aula sinodale. Parole che non condannano apertamente papa Pacelli, ma ne contestano la timidezza per il mancato anatema pubblico contro il terrore nazista. Cohen ha anche reso noto, all’agenzia stampa Reuters, che se avesse saputo prima della messa solenne di Benedetto XVI pro Pio XII – in programma alcuni giorni dopo il suo intervento – forse avrebbe rinunciato a parlare al Sinodo. Giovedì 9 ottobre papa Ratzinger ha, comunque, celebrato – presenti i padri sinodali – l’Eucarestia per il 50° anniversario della morte di Pio XII. Lanciando un appello ai fedeli: <Preghiamo perché prosegua felicemente la causa di beatificazione del servo di Dio, papa Pacelli>. Il pontefice ha così ribadito il proprio sostegno all’ascesa agli altari di una figura controversa come quella di Pio XII.

 

Fin qui il pepe dell’assemblea. Che si sta svolgendo con la novità metodologica – introdotta nel regolamento aggiornato del Sinodo del 2006 – della discussione libera fra i vescovi. Questo spazio che affianca gli interventi scritti programmati, cade, dalle 18 alle 19, nel corso di ogni congregazione generale pomeridiana. Con cinque minuti a disposizione per ogni intervento. Entusiasta per l’innovazione è il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo honduregno di Tegucigalpa, uno dei papali all’ultimo conclave. Con la fama – esagerata dai media – di porporato progressista: <Apprezzo molto la nuova metodologia perché permette degli interventi liberi e questo arricchisce molto l’assemblea>.

 

Ma di che cosa hanno parlato i vescovi nel corso della prima settimana? Del bisogno di rinnovare le parrocchie, valido strumento per portare i fedeli a una relazione vitale con il Signore, affinché lo seguano con amore. Centrale, inoltre, la riflessione sull’esegesi biblica: troppo spesso – si è detto in aula – esegesi e teologia viaggiano sui binari separati. Anzi, sembra quasi che si dia credibilità a coloro che si distaccano maggiormente dalle verità contenute nel testo sacro. Ma c’è stato anche qualche padre che non se l’è sentita di ‘volare alto’ e ha preferito lanciare una proposta più terra a terra: basta foto in chiesa durante la messa. Mentre un vescovo ha chiesto di evitare le omelie politiche perché rischiano di dividere e non unire il popolo di Dio. Il Sinodo ha, poi, espresso la sua vicinanza al popolo iracheno dopo le violenze contro i cristiani a Mossul.

 

Nella mattina di giovedì sono stati eletti i membri della commissione – presidente monsignor Gianfranco Ravasi – per la stesura del messaggio conclusivo del Sinodo. Da questo testo il papa trarrà spunto per la stesura della esortazione apostolica, il documento che, come è prassi nelle ultime assemblee sinodali, sancisce le direttive sull’argomento al centro del confronto episcopale. Vedesi, per esempio, la Sacramentum caritatis per il Sinodo del 2005 sull’Eucarestia. Questi i vescovi scelti: l’arcivescovo John Onaiyekan, pastore dell’arcidiocesi di Abuja, in Nigeria, in rappresentanza dell’Africa, il cardinale Rodriguez Maradiaga per l’America, l’arcivescovo di Guwahaiti, India orientale, Thomas Menamparampil per l’Asia. E, poi, per l’Europa il cardinale Godfried Danneels – arcivescovo di Bruxelles e figura storica del fronte riformista, soprattutto per le tiepide aperture sull’uso del preservativo e sul superamento della norma che impone l’obbligo di celibato ai preti -, per la Curia romana il presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, cardinale Walter Kasper, principe della Chiesa convertitosi alla causa conservatrice. Almeno in tema di dialogo ecumenico. 

 

Non ha toccato tanto aspetti esegetici o teologici, ma ha parlato dell’annuncio come rapporto vivo con la storia e la sofferenza dell’uomo. Nel suo intervento – vibrante e profondo – il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, ha voluto ricordare l’importanza di incarnare la Parola di Dio nella vita quotidiana. Di testimoniare nei fatti il Vangelo. Per essere più credibili nell’annuncio della fede: <Osservare la parola significa innanzitutto, come ci ha insegnato la predicazione di Gesù, testimoniarla con la propria vita e tradurla in opere di carità. Anche i tanti approfondimenti esegetici, le molteplici iniziative catechetiche e tutti gli sforzi rivolti a una maggiore conoscenza rischiano di non portare frutto, se la Parola non viene vissuta con coerenza nella vita quotidiana>. E per fare questo Sepe ricorda che: <occorre andare alle sorgenti, ossia alla carità: solo essa, se vissuta e praticata, può cementare il tessuto ecclesiale e aprire la strada alla concretezza dell’amore. I tanti malati nel corpo e nello spirito, i poveri che affollano le strade delle nostre città, i luoghi di sofferenza, come gli ospedali, le carceri rappresentano altrettante prove concrete della fedeltà alla Parola e della nostra capacità di riformare la nostra esistenza su quella del ‘Vangelo vivente’ più eloquente di tante parole perché è diventato ‘carne e sangue’>.  Dall’altra parte <l’uomo contemporaneo – chiosa l’arcivescovo di Napoli – ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono dei testimoni>. Sorprende che il cardinale si sia espresso con parole ascrivibili a un cristianesimo sociale. Ma non troppo, dal momento che Sepe – il grande organizzatore del Giubileo del 2000 e per anni prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli – si sta dimostrando un moderato, impegnato nella lotta alla camorra sul territorio napoletano. Schierandosi a sostegno del giornalista Saviano, condannato a morte dall’organizzazione criminale.

 

Sempre nella prima settimana i padri hanno anche discusso dell’incapacità dell’uomo moderno – stressato, troppo povero o troppo ricco ovvero troppo preoccupato – di ascoltare. Non ha più orecchie né per udire i propri simili, né per mettersi in ascolto della Parola. Una riflessione condotta dagli interventi di un vescovo africano e di un altro sudamericano. <In Africa – ha osservato monsignor Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos, in Nigeria – diciamo che Dio ci ha dato due orecchie e una sola bocca per ascoltare di più; il progresso tecnologico può rendere molto difficile l’ascolto; la distrazione causata dalla povertà e dalla preoccupazione per le cose essenziali della vita, ma anche l’eccessiva ricchezza, rendono molto difficile ascoltare anche durante la messa>. Eppure <la pratica dell’ascolto tra gli uomini e le donne del nostro tempo è della massima importanza; ascolto a partire dalle necessità e sofferenze, come faceva Gesù>, afferma monsignor Juan Bautista Gavilan Velasuez, vescovo di Coronel Oviedo, in Paraguay.

 

E il rapporto tra i giovani e Dio? Per il Sinodo i ragazzi sono alla ricerca del Padre e la Chiesa è chiamata ad andare loro incontro. Ma come? Frà Alois, priore della comunità ecumenica di Taizè, uno dei delegati fraterni presenti al Sinodo, ha esposto una serie di accorgimenti pastorali per avvicinare i giovani alla preghiera. Proposte su cui le diocesi – anche italiane – potrebbero lavorare: rendere i luoghi più accoglienti, lasciare a portata di mano i testi biblici, proporre i più facili per la liturgia, lasciando gli altri per la catechesi, osservare un lungo silenzio di meditazione dopo le letture. E ancora: cantare per alcuni minuti una sola frase, capace di accompagnarli per l’intera giornata, senza dimenticare di proporre simboli semplici e gesti di confidenza con Cristo, come il bacio della croce fonte a terra che è prassi a Taizè. Ma soprattutto, per fra Alois, occorre una maggiore disponibilità di ascolto da parte dei sacerdoti, anche nelle ore serali, quando gli affanni si fanno più gravi. 

 SECONDA SETTIMANA DEL SINODO DEI VESCOVI SULLA PAROLA DI DIO COMUNIONE E LIBERAZIONE STOPPA IL FORUM ISLAMICO-CRISTIANO 

Possono islamici e cristiani trovarsi insieme a discutere della Bibbia? Questo il quesito che ha tenuto banco nella seconda settimana del Sinodo dei vescovi in corso a Città del Vaticano. Mercoledì 15 ottobre, il cardinale Marc Quellet, relatore generale dell’assemblea, nella sua Relatio post discettationem – una sintesi dei lavori svolti dai padri sinodali nei primi dieci giorni dell’assise – ha proposto la convocazione di un Forum sulla Parola di Dio in cui cristiani e musulmani possano incontrarsi, discutere e meditare insieme. <Il rispetto dei libri sacri – ha premesso il porporato – è il comun denominatore delle grandi religioni e importanti punti in comune rendono possibile e profittevole un dialogo con l’Islam, esso stesso radicato, in qualche modo, nella tradizione biblica>. Tra questi elementi unitari spiccano <la resistenza alla secolarizzazione e al liberalismo, la difesa della vita umana e l’affermazione dell’importanza sociale della religione>.  Nelle parole di Quellet la volontà di alimentare <un dialogo interreligioso aperto, ma vero, al riparo da discorsi accomodanti>. <E per questo – ha concluso – abbiamo suggerito l’organizzazione del Forum>.

 

Già nei giorni precedenti al discorso del cardinale Quellet, un altro principe della Chiesa, il cardinale Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, aveva lanciato una proposta accattivante sul fronte del confronto fra le fedi. Partendo dal presupposto che le religioni possono <imparare molto> le une dalle altre, Tauran aveva auspicato che <i futuri preti, religiosi e operatori pastorali siano formati alla lettura diretta dei testi fondatori delle altre religioni invece che accontentarsi di un commentario>. Allo stesso tempo <è altrettanto importante far conoscere la Bibbia ai nostri partner del dialogo interreligioso, in particolare il nostro approccio ermeneutico al testo sacro>. Il tutto, però, senza <irenismo o sincretismo>. Una precisazione severa che mette al bando – come è naturale – un approccio teso alla fusione tra le fedi, ma anche quella semplice tendenza a conciliare ideali o dottrine diverse. Per rintracciare un denominatore comune nelle differenze, in vista di un futuro di pace e rispetto reciproco, andando al di là delle derive integraliste.

 

La proposta del Forum cristiano-islamico suggerita dal cardinale Quellet, non ha, però, convinto tutti i padri sinodali. A fare opposizione gli esponenti del circolo minore di lingua spagnola – i padri nella prima settimana del Sinodo si sono divisi, su base linguistica, in commissioni e ognuno di questi circoli, a conclusione dei propri lavori, ha elaborato una relazione che è stata letta in assemblea – guidati da padre Juliàn Carron, presidente di Comunione e liberazione. Un non placet motivato dal fatto che la Chiesa, nel suo confronto con l’Islam, deve considerare come nel mondo musulmano il diritto si identifichi con la sharia religiosa. Senza dimenticare la discriminazione delle donne nei contesti a maggioranza islamica. D’accordo con gli ‘spagnoli’ anche il presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso Tauran: <Meglio allargare il Forum a tutte le fedi e non solo all’Islam>. A muso duro la replica degli esponenti musulmani in Italia: <Così si fanno prevalere interpretazioni basate su fatti di cronaca spiacevoli>, lamenta il numero uno del Coreis Yahya Pallavicini, mentre Mario Scialoja, rappresentante della Lega musulmana mondiale, ritiene che sia <eccessivo stoppare il dialogo sulla base di una diversa concezione dei diritti della donna>. Anche perché su questo tema – conclude l’ex ambasciatore – <non si deve generalizzare. Nell’Islam esistono moltissime correnti e posizioni>. Con le più liberali che faticano ad arrivare sul proscenio internazionale, ostacolate come sono da un’immagine della fede musulmana greve e stereotipata. 

 

L’altolà di Cl al Forum giunge alla vigilia di un importante appuntamento sul cammino del dialogo fra Islam e cristianesimo: l’attesa conferenza in Vaticano, in agenda dal 4 al 6 novembre, tra gli studiosi islamici che hanno aderito all’appello ‘Una parola comune’ (la cosiddetta Lettera dei 138) e rappresentanti cattolici, tra cui lo stesso papa. L’evento era stato presentato dalla Santa Sede come un momento fondamentale per tessere un nuovo legame tra Chiesa e Islam dopo la crisi provocata dal discorso di Ratisbona di Benedetto XVI. Non ancora del tutto sanata.

 

Se i rapporti tra islamici e cristiani non sono ottimi, non va meglio sul versante ebraico-cristiano: a guadagnare le prime pagine dei giornali la querelle sulla beatificazione di papa Pacelli. Intanto, al Sinodo, il vescovo di Poznan – in Polonia, paese dove l’antisemitismo anche in ambito ecclesiale non è certo tramontato, come dimostrano le recenti polemiche sui contenuti dell’emittente radiofonica Radio Maria – monsignor Stanislaw Gadecki ha esortato i padri sinodali a <una peculiare attenzione al popolo ebraico per il superamento di ogni possibile antisemitismo>. Anche perché l’ebraismo <è unico tra le religioni del mondo> e, come si legge nella dichiarazione del Vaticano II Nostra aetate, rappresenta <la radice dell’olivo buono>.

Sul fronte del dialogo ecumenico, invece, si registra lo storico intervento nella Cappella Sistina del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I. Primo ortodosso a parlare in cappella e a un Sinodo. Il patriarca nel suo intervento, introdotto da papa Benedetto XVI, ha lanciato un accorato invito per un impegno comune di tutti i cristiani e i credenti contro la povertà, il razzismo e il fondamentalismo. <Come discepoli di Dio – ha detto Bartolomeo I – è oggi più imperativo che mai fornire un’unica prospettiva al di là di quelle sociali, politiche ed economiche sulla necessità di sradicare la povertà, promuovere equilibrio nel mondo globale, combattere il fondamentalismo o il razzismo e sviluppare la tolleranza religiosa in un mondo conflittuale>. L’autorità spirituale ha anche espresso l’auspicio di arrivare un giorno alla piena unità tra ortodossi e cattolici, superando le attuali differenze e convergendo <pienamente sul ruolo della primazia e della sinodalità nella vita della Chiesa>. Chiesa di Roma e Chiese ortodosse sono divise dallo scisma d’Oriente del 1054.

 

Ma al Sinodo si è discusso anche del rinnovamento biblico nella Chiesa. Per monsignor Pierre Marie Carrè, arcivescovo francese di Albi, è ancora recente e poco assimilato. <Occorre – ha ricordato il pastore, presentando la relazione del circolo linguistico transalpino – che lavoriamo per far meglio conoscere il grande testo conciliare della Dei Verbum>. Attraverso semplici proposte <perché la Bibbia diventi il nutrimento spirituale di tutti i membri della Chiesa>. Tra queste compare l’idea di utilizzare la tecnologia (internet e il lettore mp3) per facilitare la comprensione dei passi biblici più difficili. Oltre all’invito a promuovere maggiormente i pellegrinaggi in Terra Santa. Infine, il gruppo di lavoro francese ha espresso il desiderio che <le donne, specialmente le madri di famiglia, abbiano una formazione appropriata per essere strumenti della Parola>.

 

Proprio a proposito del ruolo della donna all’interno del popolo di Dio, nel corso della settimana si è avuta la protesta in piazza San Pietro delle femministe cattoliche aderenti a diverse sigle della galassia progressista, tra le quali Future Church e We are Church. <Come Santa Teresa d’Avia – si legge in una petizione rivolta al Sinodo – chiedeva oltre 400 anni fa alla Gerarchia di smettere di ignorare le donne di talento semplicemente a causa del loro sesso, noi chiediamo ai delegati del Sinodo di riconoscere che la Bibbia stessa domanda una piena ed eguale partecipazione delle donne e che ogni altra interpretazione è errata e ingiusta>. Pertanto, via libera all’ordinazioni femminili al diaconato, presbiterato ed episcopato. Ricordando che la Chiesa occidentale ha ordinato diaconesse, come attestato già da San Paolo, fino al VII secolo, mentre quella orientale fino al XIII. L’appello, pur se ha avuto una certa eco sui quotidiani – stavolta anche in Italia -, non è stato discusso dai padri sinodali. In tema di eguaglianza nella Chiesa fra uomini e donne, è opportuno considerare come, su un totale di 78 fra esperti o uditori del Sinodo, solo 25 sono donne con la presidente dell’Unione internazionale delle superiore generali, Louise Madore, che partecipa all’assemblea come uditrice (senza quindi diritto di voto), a fronte dell’Unione dei superiori generali che, invece, elegge 10 membri votanti al Sinodo. Ergo, padri sinodali a tutti gli effetti.

  

A sorpresa, martedi 14 ottobre, è intervenuto all’assemblea sulla Parola di Dio anche Benedetto XVI che ha voluto ribadire – costituzione dogmatica Dei Verbum alla mano – i due livelli metodologici, quello storico critico e quello teologico, per una corretta esegesi delle Sacre Scritture. Perché non è sufficiente il metodo storico critico, occorre anche un’interpretazione biblica che tenga conto dell’unità sistematica della Parola di Dio, della viva tradizione della Chiesa e dell’analogia della fede. Se, infatti, manca l’esegesi teologica, <la Bibbia diventa – ha ammonito il pontefice – un libro solo del passato. Si possono trarre da esso conseguenze morali, si può imparare la storia, ma il Libro come tale parla solo del passato e l’esegesi non è più realmente teologica, ma diventa pura storiografia, storia della letteratura>. Come accade oggi con il cosiddetto mainstream dell’esegesi tedesca che nega, per esempio, <che il Signore abbia costituito la Santa Eucarestia e dice che la salma di Gesù sarebbe rimasta nella tomba. La resurrezione, poi, non sarebbe un avvenimento storico, ma una visione teologica>.

 

Questi i fatti principali della seconda settimana. Adesso il Sinodo entra nel vivo con l’attenzione che, in quest’ultimi giorni di assise, si sposta sull’elaborazione, da parte della commissione retta dall’arcivescovo Gianfranco Ravasi, del messaggio finale dell’assemblea. A partire da questo verranno stilate le Propositiones ossia le indicazioni dei padri sinodali che serviranno al papa per la stesura della sua esortazione apostolica post sinodale.

 TERZA SETTIMANA DEL SINODO DEI VESCOVI SULLA PAROLA DI DIO PROPOSITIONES: NO ALL’ENCICLICA SULL’ESEGESI, SVOLTA ROSA DEI PADRI 

NIENTE enciclica sull’interpretazione della Bibbia. A proporla era stato il cardinale Marc Quellet, relatore generale del Sinodo con l’obiettivo di fare chiarezza sull’esegesi del testo sacro e ridimensionare il ricorso – che, tra l’altro, si pone in continuità con la lettura patristica delle Sacre scritture – al metodo storico critico, come indicato dalla costituzione dogmatica Dei Verbum. Il tutto a vantaggio di un’accentuazione del ruolo della Tradizione in sede ermeneutica. Ma la missione del principe della Chiesa è naufragata. Lo dimostrano le Propositiones dei padri sinodali che richiamano i due livelli metodologici – esegesi storica e teologica – del Vaticano II senza aprire alla stesura di un documento papale in materia. E, finalmente, tirano un sospiro di sollievo gli amanti del Concilio che, alla vigilia, tenendo anche conto dell’Instrumentum Laboris del Sinodo, guardavano con timore a questo appuntamento proprio perché temevano una messa in discussione delle conquiste conciliari sulla divina rivelazione. Primo fra tutti il cardinale Carlo Maria Martini.

Frutto di tre settimane di lavoro e correlate al messaggio finale della Commissione per il messaggio del Sinodo, le 55 Propositiones, approvate dai 253 padri a conclusione dell’assise, rappresentano le indicazioni dei vescovi a papa Benedetto XVI, in vista della elaborazione dell’esortazione apostolica. Che avrà – questa sì – un carattere normativo, vincolante per la comunità ecclesiale. Dal Sinodo ci si poteva attendere delle Propositiones prudenti se non addirittura orientate in senso conservatore. E, invece, senza enfatizzare la portata del documento, non mancano aperture sul ruolo della donna nella Chiesa, in tema di carità verso i poveri e sul fronte del dialogo interreligioso. Per non tacere le sfumature dei padri sinodali rispetto alle preoccupazioni ermeneutiche di papa Ratzinger.

 La Parola di Dio nella fede della Chiesa, La Parola di Dio nella vita della Chiesa e La Parola di Dio nella missione della Chiesa. Sono le tre parti in cui si articolano le Propositiones che si aprono con una breve introduzione e si chiudono con l’invito a diffondere tra i fedeli la preghiera dell’Angelus e del Rosario, in ossequio a Maria, mater Dei et mater fidei.  

Facendo leva sulla sintesi del testo proposta dal quotidiano Avvenire, partiamo dall’esegesi biblica per esaminare il documento conclusivo dell’assemblea. Alla proposizione 6 i vescovi hanno voluto riaffermare la bontà della lettura patristica della Scrittura che <distingue due sensi: letterale e spirituale. Il primo è quello significato dalle parole e trovato tramite gli strumenti dell’esegesi critica. Il secondo concerne anche la realtà degli eventi di cui la Scrittura parla, tenendo conto della Tradizione vivente di tutta la Chiesa>. Ecco, quindi, riaffermata – proposizione 25 – l’ermeneutica biblica proposta in Dei Verbum 12 che <per un adeguato lavoro esegetico prevede due livelli metodologici, distinti e correlati: il metodo storico-critico e la natura anche divina delle parole umane bibliche>. Ossia la necessità di interpretare il testo sacro tenendo conto del contenuto e dell’unità dell’intera Scrittura, della viva Tradizione di tutta la Chiesa e dell’analogia della fede.  Ed è evidente come il Vaticano II, nel definire i livelli ermeneutici della Bibbia, abbia voluto restare fedele alle indicazioni dei padri della Chiesa.

Colpisce osservare come, se per papa Ratzinger i pericoli discendono da una lettura della Bibbia che cancelli l’esegesi spirituale o teologica, lasciando spazio al solo metodo storico-critico (Discorso al Sinodo del 14 ottobre), i timori dei padri sinodali siano di segno opposto, come dimostra la proposizione 46: <E’ necessaria un’educazione dei credenti perché sappiano distinguere la lettura credente della Sacra Scrittura dalle ‘interpretazioni fondamentalistiche’ che ignorano la mediazione umana del testo ispirato e i suoi generi letterari>. Una preoccupazione condivisa anche da monsignor Gianfranco Ravasi che, nel corso della presentazione del Messaggio finale del Sinodo, elaborato dalla commissione da lui presieduta e votato in assemblea, ha sottolineato come il fondamentalismo <non comprende che la Parola di Dio passa attraverso il filtro dell’uomo, del profeta, anche in maniera sorprendente. Non si può leggere il testo nella sua superficie come se fosse il messaggio. Le parole devono essere comprese>. Si deve, comunque, ricordare che, se le Propositiones tacciono sul rischio di una lettura biblica affidata al solo metodo storico-critico, non resta in silenzio il Messaggio finale: <Se ci si ferma alla sola ‘lettera’, la Bibbia rimane soltanto un solenne documento del passato, una nobile testimonianza etica e culturale. Se, però, si esclude l’incarnazione, si può cadere nell’equivoco fondamentalistico o in un vago spiritualismo o psicologismo. La conoscenza esegetica deve, quindi, intrecciarsi indissolubilmente con la tradizione spirituale e teologica perché non venga spezzata l’unità divina e umana di Gesù Cristo e delle Scritture>. Ma l’omissione delle Propositiones resta e non è un particolare di poco conto, se si pensa alla maggior incidenza a livello operativo di questo testo rispetto allo stesso Messaggio finale che si presenta come un saluto dei padri sinodali ai fedeli. A lavori conclusi.

 

Parola di Dio e carità verso i poveri. L’opzione per gli ultimi è un tratto distintivo della teologia della liberazione e una delle acquisizioni della Seconda Assemblea Generale dell’Episcopato latino-americano, svoltasi a Medellin, nel 1968. In quell’occasione si affermò l’opzione della Chiesa per i poveri, quella per le comunità ecclesiali di base e per la liberazione integrale. Con i decenni, però, la predilezione per i poveri, già accennata nel corso del Vaticano II, è stata in parte eclissata nei documenti del Magistero della Chiesa: per scongiurare strumentalizzazioni politiche e in nome di una catechesi fondata sul messaggio escatologico universale di Cristo. Nel Sinodo – anche se ‘indossando guanti di velluto’ – si riaffaccia la scelta della Chiesa per i poveri: <Uno dei tratti caratteristici della Sacra Scrittura – proposizione 11 – è la rivelazione della predilezione di Dio per i poveri. Essi non sono però solo destinatari della carità, ma agenti di evangelizzazione. I pastori sono chiamati ad ascoltarli, ad imparare da essi, a guidarli nella loro fede>.

 

Il Sinodo ha anche voluto affermare l’importanza della legge naturale, un caposaldo del pontificato di Ratzinger insieme al rapporto tra fede e ragione. <Quando ci si nutre della Parola di Dio – scrivono i padri nella proposizione 13 – la conoscenza della legge naturale aumenta e permette il progresso della coscienza morale>. Pertanto il Sinodo <raccomanda a tutti i pastori di avere una particolare sollecitudine perché i ministri della Parola siano sensibili alla riscoperta della legge naturale>.

 

E arriviamo alla svolta rosa del Sinodo. Passando così ad esaminare la seconda parte delle Propositiones, quella sulla Parola di Dio nella vita ecclesiale. Il sacerdozio femminile resta precluso alle donne, ma i padri sinodali chiedono al papa di aprire il ministero istituito del lettorato – il lettore ha il compito di proclamare la Parola di Dio – al gentil sesso: <Si auspica inoltre che il ministero del lettorato – proposizione 17 – sia aperto alle donne, in modo che nella comunità cristiana sia riconosciuto il loro ruolo di annunciatrici della Parola>. Un piccolissimo passo verso l’equiparazione – che passa, secondo buona parte del popolo di Dio, anche, se non soprattutto, attraverso l’accesso ai ministeri delle donne – tra maschile e femminile nella Chiesa cattolica. Adesso, bisognerà vedere se il papa riterrà opportuno accogliere nell’esortazione apostolica la sollecitazione dei vescovi. E non è detto, né obbligatorio.

 

Non manca un invito ai sacerdoti affinché curino la loro preparazione nelle omelie, domenicali e settimanali e, a tal proposito, si auspica la realizzazione di un Direttorio sull’omelia (proposizione 15). E ancora si valorizzano i gruppi biblici di laici con la raccomandazione a formare <piccole comunità ecclesiali – proposizione 21 – dove venga ascoltata, studiata e pregata la Parola di Dio, anche nella forma del Rosario come meditazione biblica. Il servizio dei laici che guidano queste comunità, deve essere stimato e promosso>. Per creare, poi, una maggiore comunione tra esegeti, teologici e pastori nel servizio della Parola di Dio si chiede la promozione di incontri regolari tra i soggetti coinvolti. Mentre agli esegeti è raccomandata una condivisione dei frutti della loro scienza (proposizione 28).

 

Il dialogo interreligioso è protagonista dell’ultima parte delle Propositiones. Nella proposizione 52 si sottolinea l’importanza del dialogo con gli ebrei, tanto che <la comprensione ebraica della Bibbia può aiutare l’intelligenza e lo studio delle Scritture che vedono però il compimento pieno in Gesù>.  Con l’Islam, invece, si delinea un confronto che abbia come tema importante la reciprocità – acqua passata la stagione del rapporto con le altre religioni basato sulla gratuità da parte dei cristiani, secondo la linea di monsignor Michael Fitzgerald, già presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, trasferito nel 2006 come nunzio apostolico in Egitto –  e la libertà di coscienza e di religione (proposizione 53). Niente, come già era stato preannunciato negli ultimi giorni del Sinodo, Forum cristiano-islamico sulla Parola di Dio. Una proposta avanzata, nel corso dei lavori, dal cardinale Quellet, ma che trovò l’opposizione del circolo minore spagnolo, guidata da Juliàn Carron, presidente di Comunione e liberazione.

 

Sul piano della diffusione della Bibbia il Sinodo si apre alle moderne tecnologie, recependo le indicazioni del gruppo linguistico francese: <E’ necessario – si legge nella proposizione 43 – che il testo sacro sia diffuso il più possibile e con tutti gli strumenti a disposione che le moderne tecnologie offrono, soprattutto per i diversamente abili>.

 

Si chiude così la ventesima assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Pochi i sussulti, tanti i rischi per chi sostiene la lungimiranza del Vaticano II e, nello specifico, della Dei Verbum sulla divina rivelazione. Ma anche qualche spunto riformista dalle proposte dei vescovi.

 

25 ottobre 2008

Giovanni Panettiere          


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