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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

“Un gesto di massima apertura alla modernità”

‘Il nuovo Papa non sarà migliore’

di Fabio Chiusi

«I Cardinali creati da Wojtyla e Ratzinger sono tutti conservatori, chiusi nella tradizione identitaria e impauriti dal nuovo. Ci penseranno gli eventi del mondo a cambiare la Chiesa». Parla il Moderatore dei valdesi Eugenio Bernardini

(12 febbraio 2013)

Eugenio Bernardini Una Chiesa Cattolica «più trasparente e democratica», capace di meglio interpretare le esigenze di rinnovamento in campo etico e nei costumi sessuali dei fedeli. Un Papa più abile nel governo della Curia e che al contempo «costruisca ponti, invece di erigere muri». E’ di questo che avrebbe bisogno il Vaticano nel dopo-Ratzinger, dice a ‘l’Espresso’ il pastore Eugenio Bernardini, dall’agosto 2012 Moderatore della Tavola valdese (l’organo esecutivo dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi). Sposato, tre figli, il papa valdese – massima autorità esecutiva ma non spirituale, riservata al Sinodo – è tuttavia scettico sulle reali possibilità di cambiamento alla guida dell’universo cattolico. A partire dal prossimo Pontefice. Che, afferma, rientrerà nel solco della difesa dell’identità e tradizione tracciato da Benedetto XVI.

Pastore Bernardini, come giudica il papato di Ratzinger?

«E’ sempre stato più uomo di studio che di governo, e quindi il suo ruolo come Pontefice ha sicuramente avuto questa caratteristica: molto insegnamento, anche da quella posizione, molti interventi sul piano del dialogo con la cultura moderna, con le altre religioni, l’Islam in particolare. Sempre con posizioni piuttosto ruvide, franche, aperte. Perché ha sempre dichiarato quello che pensava, che riteneva giusto. Ha continuato cioè a svolgere, anche come Papa, il suo servizio più efficace: quello che ha svolto come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede per tanto tempo prima di diventare Papa».

E sul piano del governo della Chiesa?
«E’ evidente che ha avuto molte amarezze, difficoltà. Non è riuscito neppure a iniziare quello che aveva in programma di fare. Tutto quello che ora si può pensare è che, a parte i problemi di salute molto comprensibili, nella sua scelta ci possa anche essere stato l’elemento dell’amarezza per questa difficoltà di governo. Mi sembra un’ipotesi più che comprensibile e attendibile».

E’ mancata a riforma della Curia?
«Non è riuscito nemmeno a iniziarla. Nel suo periodo non c’è stata più trasparenza, sono aumentati gli scontri. E’ stata una difficoltà di governo vera e propria. Sicuramente i problemi derivanti sia dalla crisi dello Ior, le polemiche sulla pedofilia in tutto il mondo hanno inciso. Però credo che proprio sul piano del governo della Chiesa, specifico del servizio del Pontefice, ci siano stati i problemi più grossi per lui.

Da questo punto di vista come si può rileggere la scelta di Ratzinger, in un momento storico come quello che stava attraversando la Chiesa al momento della sua elezione? Si sapeva che tipo di personalità avesse.
«Chi conosce veramente quello che accade negli equilibri interni del Conclave, l’alta dirigenza Cattolica, sa che in realtà queste nomine sono sempre frutto di mediazione. In fondo le sorprese le abbiamo avute noi e penso le abbiano avute anche le gerarchie cattoliche nella nomina degli ultimi papi. Ci si aspettava alcune cose, ne sono venute fuori altre. Il lungo papato di Wojtyla, Giovanni Paolo II, sicuramente ha sorpreso moltissimi, anche quelli che lo avevano eletto. E credo ugualmente sia successo con Benedetto XVI. Le attese forse erano altre, i risultati sono stati un po’ sorprendenti, nel bene e nel male.

Pensa che questo Papa abbia saputo interpretare le esigenze di cambiamento nella morale e nei costumi sessuali provenienti anche dai fedeli?
«Penso proprio di no. Ha rappresentato la tradizione, nel senso più preciso del termine. Anche se questo suo gesto, le dimissioni, motivate per essenzialmente motivi di salute, è forse quello di massima apertura alla modernità. E’ cioè il riconoscimento della fragilità umana, della necessità che per governare bisogna essere totalmente presenti a se stessi. Se pensiamo a tutto il dibattito sul fine vita e non solo, e lo rapportiamo a quanto accaduto era accaduto nell’esperienza di Giovanni Paolo II, viene da dire che sicuramente il mondo moderno si sente più vicino a questa scelta di Benedetto XVI, piuttosto che a quella di Wojtyla, che fino alla fine ha continuato a reggere il suo servizio.


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