Comunicato ai media – Roma 15 luglio 2016
Far ripartire in Italia la mobilitazione delle società civile sul commercio delle armi
Dalla due giorni di iniziative organizzate a Roma da Fondazione Culturale Responsabilità Etica (FCRE), Rete Italiana Disarmo (RID) e Sbilanciamoci una rinnovata volontà di azione per riattivare l’opinione pubblica sulle spese militari e ripristinare un rigoroso controllo sul commercio di armi in Italia.
L’impegno a un rilancio delle azioni di interpellanza e mobilitazione sul tema della produzione e del commercio di armi, a partire da una richiesta forte di ripristinare tutti gli strumenti di trasparenza della legge 185/90 e di utilizzare appieno la ratifica italiana dell’accordo internazionale sul Commercio delle Armi (Arms Trade Treaty), entrato in vigore a dicembre 2014. Sono i punti fondamentali che i rappresentanti di diverse organizzazioni della società civile italiana hanno posto all’attenzione dei parlamentari in un incontro tenutosi ieri – giovedì 14 luglio – alla Camera con la presenza dei Deputati Massimo Artini, Giorgio Zanin, Filippo Fossati, Pippo Civati, Mario Sberna, Luca Frusone, Giulio Marcon e del Senatore Roberto Cotti.
Il momento di comune riflessione e confronto ha concluso la due giorni di lavori “Le armi italiane nel mondo: destinazioni pericolose o rispetto della legge?” promossa da Fondazione Culturale Banca Etica con Rete Italiana per il Disarmo e Campagna Sbilanciamoci.
“Il crescente protagonismo italiano nell’alimentare l’insicurezza globale, in violazione della legge 185/90, tramite l’esportazione di sistemi d’arma a Paesi in conflitto, ovvero responsabili di violazioni dei diritti umani nonché del diritto internazionale, è da anni accuratamente documentato”, sottolinea Nicoletta Dentico, consigliera di amministrazione di Banca Popolare Etica. “Di fronte alla gravità della situazione non è più rimandabile un cambio di passo, che abbiamo condiviso e iniziato a pensare in questi giorni, per far capire all’opinione pubblica italiana l’impatto delle spese militari sui nostri stessi diritti, e per impugnare le specifiche responsabilità dei decisori politici che avallano e alimentano questo commercio di morte”.
Mercoledì 13 luglio, presso la Fondazione Lelio Basso, un seminario di aggiornamento e approfondimento sul ruolo italiano nel commercio di armi ha toccato i punti principali che caratterizzano la problematicità di questo settore produttivo e di export.
Francesco Martone di Un Ponte per ha sottolineato come ormai l’export di armamenti sia parte integrante ed anzi espressione principale delle scelte di politica estera dell’Italia. Leopoldo Nascia della Campagna Sbilanciamoci ha evidenziato gli impatti negativi delle spese militari in termini di sottrazione di risorse economiche da destinare ai settori del welfare, e delle disfunzioni prodotte da questo settore (che vive uno stato di eccezione) sul bilancio dello Stato. Nel giorno del lancio di un nuovo rapporto sull’Egitto Riccardo Noury di Amnesty International Italia ha evidenziato dal canto suo come le vendite indiscriminate di armi incidano assai pesantemente sui diritti umani di alcune regioni del mondo, citando in particolare il caso dell’Egitto appunto, ma anche di Arabia Saudita e Yemen.
Maurizio Simoncelli (Archivio Disarmo) ha invece illustrato le principali mete delle armi italiane, sempre più destinate a paesi problematici o in aree di conflitto e di forte tensione, mentre Giuseppe Schiavello ha riferito dell’iniziativa di Campagna Italiana contro le Mine relativa alla richiesta di una legge per il de-finanziamento delle aziende produttrici di cluster bombs. Francesco Vignarca (coordinatore Rete Disarmo) ha tratteggiato qualche possibile linea di azione, soprattutto in termini di lavoro internazionale, per l’implementazione del Trattato sul Commercio di Armi, prima delle conclusioni finali di Nicoletta Dentico.
Uno dei punti principali ripetutamente emersi nel corso delle due giornate rimanda alla trasparenza e all’accesso a dati chiari sul commercio di armi: “Può sembrare paradossale – commenta Giorgio Beretta, analista di OPAL Brescia e di Rete Disarmo – ma siamo arrivati al punto di dover rimpiangere la trasparenza in materia di commercio di armi esercitata a suo tempo da Giulio Andreotti, tuttora un esempio di chiarezza e completezza di informazioni all’interno delle Relazioni al Parlamento sull’export militare italiano. Tabelle fitte fitte scritte a macchina, da cui si potevano conoscere immediatamente tutti gli specifici sistemi di armi venduti ai vari Paesi nel mondo, per quantità, destinazione e valore. Nonostante l’avvento dei computer e dell’era digitale, le recenti Relazioni risultano del tutto deficitarie sulle informazioni fondamentali che riguardano le esportazioni di sistemi militari. Questa mancanza di trasparenza rende impossibile un effettivo controllo delle operazioni autorizzate dal Governo anche da parte parlamentare, contravvenendo in tutto allo spirito e alla lettera della normativa italiana su questa materia”.
Una situazione non più sostenibile e che la società civile organizzata italiana, da anni impegnata in attività di monitoraggio e analisi, non intende più tollerare. Da settembre si passa all’azione, nell’intento di allargare il coinvolgimento dell’opinione pubblica italiana su questa battaglia, con una strategia rilevante e intelligente. Come più volte è stato ripetuto nel corso della due giorni: “il tempo dei guanti bianchi è terminato”.
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