LA SCOMUNICA A MARTHA HEIZER?
ATTO ILLEGITTIMO E INSENSATO. IL PARERE DI UN CANONISTA
37719. ROMA-ADISTA. Lo avevano detto subito Martha Heizer, presidente internazionale di Noi Siamo Chiesa, e suo marito Gert che qualcosa dal punto di vista canonico non quadrava nella scomunica del vescovo di Innsbruck mons. Manfred Scheuer (con il placet della Congregazione per la Dottrina della Fede guidata dal card. Gerhard Müller) che li aveva colpiti lo scorso maggio per aver celebrato in casa propria l’eucarestia, senza la presenza di un prete (v. Adista Notizie nn. 20, 21 e 24/14). Ora, a sostegno delle loro perplessità, arriva un autorevole ed articolato saggio di Francesco Zanchini, già ordinario di Diritto canonico nella Facoltà di Giurisprudenza di Teramo, pubblicato sulla rivista giuridica dell’Università di Milano Stato, Chiese e pluralismo confessionale (www.statoechiese.it). “Tra collere e ‘papere’ dell’Inquisizione odierna, riflessioni sul can. 1378 § 2 a proposito del caso di Martha Heizer”, preannuncia Zanchini sin dal titolo, precisando poco dopo che la sua intende essere «un’analisi documentata della evidente illegittimità, da un punto di vista meramente canonistico, della censura irrogata a freddo, senza alcun serio preavviso, nei confronti della sig.ra Heizer».
Anzitutto, scrive il canonista, va sottolineato come il vescovo di Innsbruck, inizialmente individuato come il responsabile principale del processo canonico contro i due coniugi austriaci, abbia «agito in via di delegazione, e risulta anzi che faccia ricadere su Roma ogni responsabilità dell’accaduto. È Roma, quindi, che dobbiamo giudicare a proposito della dichiarazione di scomunica latae sententiae di Martha Heizer, per essere incorsa in un’asserita violazione del can. 1378 § 2». Una imputazione della quale invece Heizer «va manifestamente ritenuta innocente». Infatti, la norma afferma che incorre nella scomunica chi non avendo ricevuta l’ordinazione sacerdotale (come ovvio, essendo donna), avrebbe commesso il delitto di “attentato alla celebrazione della santa messa”; comportamento proprio di chi, spiega Zanchini sulla scorta di una lunga consuetudine giuridica, vestito con i paramenti, va verso l’altare in modo che sembri apprestarsi a celebrare. «Reato di tentativo (di pericolo, direbbero i dogmatici)» di presentarsi come prete, pur non essendolo. Intenzione che non si può attribuire alla Heizer che, al contrario, celebrava in casa proprio per sottolineare la necessità di rivedere l’istituto stesso del sacerdozio ordinato, perché a suo giudizio (come a quello di molti credenti, specie nel Nord Europa) qualsiasi comunità cristiana, unità nella fraternità, può fare memoria della cena di Gesù. «L’assurdità dell’accusa (così come la conseguente nullità assoluta della dichiarazione del dicastero a proposito di una pretesa scomunica latae sententiae della vittima di questo equivoco monumentale) è dunque tale da rendere ogni altro commento superfluo».
Per completezza, aggiunge però Zanchini, va comunque sottolineato che la norma per la quale si è deciso di scomunicare la Heizer ed il marito «si ponga in assoluta continuità col passato; il che incrementa la sorpresa per l’imperizia degli operatori del Dicastero nel maneggiare istituti dei quali, trattandosi di competenza che gelosamente rivendicano al medesimo, dovrebbero essere esperti». Zanchini rileva ad esempio come nel precedente Codice di Diritto Canonico, promulgato nel 1917 ed in vigore fino al 1983, al can. 2322 § 1 fosse «colpito da scomunica latae sententiae colui che, ad ordinem sacerdotalem non promotus, avesse commesso il reato consistente nella “simulazione” di celebrazione della Mmessa (“missae celebrationem simulaverit”)». Anche risalendo alle fonti della tradizione canonica, «la situazione rimane costante» e le norme colpiscono sempre in primo luogo, e con insistenza, la figura del diacono, e a fortiori i ministranti a lui sottordinati. L’intento prevalente è preservare la persona (vescovo, o prete) destinata a presiedere l’assemblea di culto; solo più tardi, sottolinea Zanchini, a questa esigenza se ne aggiunse un’altra, comunque secondaria e con finalità moralistica (la cui matrice era «una teologia cavillosa»): quella cioè di screditare la validità di un atto commesso per turpem dolum sacrilegum, che lascia traccia di sé nell’uso del termine “simulazione” da parte del codice del 1917. Quel termine, infatti, spiega il canonista, rimarcava «la peculiare malizia del reato consistente, in coerenza con la dottrina del tempo, nell’errore in cui veniva indotta, senza colpa, la comunità parrocchiale presente a un rito “idolatrico”, senza saperlo».
Per tutte queste ragioni Zanchini esclude «con assoluta certezza ogni e qualsiasi validità della dichiarazione di condanna, resa ultimamente dalla Congregazione per la dottrina della fede nei confronti della sig.ra Martha Heizer». Perché la Heizer non è diacono, perché non simulava di essere consacrata, perché nessuna delle persone presenti alle celebrazioni è stata mai tratta in inganno rispetto al significato di quelle liturgie.
Per Zanchini quindi sulla Congregazione per la Dottrina della Fede «incombe adesso l’obbligo di far salvo il diritto dell’imputata al ripristino più ampio della sua buona fama, anche nelle forme del can. 1390, § 2 (e salvo il giusto risarcimento del danno, arrecato al suo onore cattolico, nelle forme di cui al can. 1390, § 3)». Anche perché quella dell’eucarestia senza preti «si avvia a diventare, nella temperie cristiana attuale, una questione stantis aut cadentis Ecclesiae. Ed è questa la lezione – prosegue Zanchini – che possiamo trarre dall’epilogo di questa ennesima tempesta in un bicchier d’acqua, inflitta dal card. Müller alla nostra cristiana pazienza. La situazione sempre più allarmante delle vocazioni sacerdotali non è soltanto frutto della secolarizzazione, ma (per chi ne serba memoria, come noi anziani) è pure frutto della falcidia folle inferta nei ranghi, forse troppo entusiasti e generosamente inesperti, del basso clero dalle purghe dissennate del postconcilio. Quella falcidia, mirando alla castrazione violenta della memoria di una stagione irripetibile» ha aperto «quel fossato tra apparato gerarchico e sensus populi Dei, che Pietro Prini ha felicemente definito “scisma sommerso”». E che invece di sanarsi diventa, grazie a scelte come quelle del card. Müller, sempre più profondo. (valerio gigante)
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