Veronesi e il male che fa perdere la fede in Dio
di Vito Mancuso
in “la Repubblica” del 19 novembre 2014
Umberto Veronesi ha spiegato perché non crede in Dio: la perdita della fede a causa della presenza
del male di cui ha parlato su questo giornale è un’esperienza comune a molti, descritta in numerose
opere filosofiche e letterarie del passato e sorgente di perenne inquietudine per i cristiani.
Si tratta infatti di un’esperienza peculiare del mondo occidentale formato dal cristianesimo, perché
nei termini raccontati da Veronesi essa non potrebbe avvenire né nell’islam, né nell’hinduismo e in
nessun’altra tradizione religiosa. Per negare Dio tale ateismo si nutre dell’argomento del bene, nel
senso che la presenza del male nel mondo è per esso in aperto contrasto con un Dio la cui essenza è
pensata come interamente buona, come amore, oltre che come onnipotenza. Se Dio è del tutto
buono e ci ama, e se è al contempo onnipotente, il male nel mondo non dovrebbe esistere; ma visto
che il male esiste, a non esistere è il Dio buono e onnipotente di cui parla il cristianesimo: ecco la
conclusione di Veronesi e di molti occidentali prima di lui. Invece per le prospettive nelle quali Dio,
oltre a essere bene, è anche capacità di male, la presenza del male non contraddice in alcun modo la
sua esistenza: è semmai solo una delle molteplici manifestazioni di una somma e imperscrutabile
onnipotenza a cui occorre conformarsi. Non è quindi un caso che l’ateismo come fenomeno di
massa sia sorto in occidente e non altrove.
Scriveva Simone Weil, una delle più acute intelligenze mistiche del nostro tempo, alla fine del ‘42:
“Sento una lacerazione, sia nell’intelligenza che al centro del cuore, che si va aggravando senza
sosta a causa dell’incapacità di pensare insieme, nella verità, la sventura degli uomini, la perfezione
di Dio e il legame tra l’una e l’altra cosa”. Questa è la vera e propria aporia di cui soffre il
cristianesimo. Il che, peraltro, non dimostra che il cristianesimo sia falso, perché a essere aporetica
e contraddittoria è l’esistenza stessa, così che ogni credo religioso o filosofico che attesta la
contraddizione serve la vita, mentre quei sistemi che perseguono in primo luogo la coerenza logica
sono solo dottrine e ideologie artificiose. Ha scritto il giovane Hegel: “Contradictio est regula veri,
non contradictio falsi”, la contraddizione è la regola del vero, la non contraddizione del falso.
Il punto è che vi sono due dati di fatto, entrambi veri, ma inconciliabili allo stato attuale della mente
umana (un po’ come la teoria della relatività e la meccanica quantistica, entrambe sperimentate
innumerevoli volte, ma inconciliabili teoreticamente l’una con l’altra): l’esistenza effettiva del male,
sia fisico sia morale; e l’esistenza effettiva del bene, sia fisico sia morale.
Si tratta di pensare insieme i due dati, non uno solo di essi. Era quanto faceva Boezio nella sua cella
di Pavia prima che Teodorico lo facesse giustiziare: “Se c’è Dio, da dove vengono i mali? E da dove
vengono i mali, se Dio non c’è?” ( Consolazione della filosofia I, 4). Se Dio c’è ed è quell’amore
onnipotente di cui parla il cristianesimo, perché, citando Veronesi, “un bambino viene invaso da
cellule maligne che lo consumano giorno dopo giorno?”. Ma se Dio non c’è, da dove vengono le
mani del medico che lo curano, la scienza che guida la sua mente e la passione morale che lo porta a
operare? Qualcuno potrebbe rispondere dall’uomo e dalla sua ragione e direbbe bene, ma non
sarebbe un argomento conclusivo, perché rimane da spiegare da dove vengono l’uomo e la sua
ragione. Se consideriamo il punto di partenza del percorso cosmico 13,82 miliardi di anni fa, e il
punto cui oggi siamo arrivati in termini di accumulo di organizzazione e complessità, è ben difficile
attribuire tutto a un mero susseguirsi di casualità fortunate, tanto enormi sono le probabilità
contrarie al darsi della vita e dell’intelligenza nel cosmo: tale attribuzione richiede un investimento
di energia mentale almeno pari a quello che ipotizza Dio.
La realtà è che di fronte al dato della vita (che è: cancro + mani che lo curano, caos + logos)
appaiono insostenibili entrambi i dogmatismi: quello di chi nega ogni forma di logica al governo del
mondo e quello di chi vede tale logica in ogni evento, come fa l’attuale Catechismo cattolico
dicendo che “Dio permette che ci siano i mali per trarre da essi un bene più grande” (art. 412),
presentando un sofisma dal punto di vista teoretico e un’indegnità dal punto di vista morale.
La prospettiva più plausibile con cui rispondere alla domanda sull’origine del male esclude che la
risposta possa essere Dio, nel senso che Dio voglia direttamente o permetta indirettamente i singoli
eventi negativi; esclude che possa essere l’uomo in quanto autore del cosiddetto peccato originale,
perché l’uomo è la prima vittima dell’indeterminazione dell’essere che produce il male, non
l’autore; ed esclude infine che possa essere una natura del tutto priva di un fine (come vorrebbe il
materialismo ateo) perché la natura, oltre al cancro, produce anche la mente e le mani che tendono
al bene.
La prospettiva più plausibile con cui rispondere alla domanda sull’origine del male è la medesima
che sa rispondere all’origine del bene, cioè quella che rimanda all’impasto originario di logos +
caos che costituisce il mondo nella sua concreta effettualità e che impone un modo nuovo di pensare
Dio. In base a esso occorre superare le secche della dogmatica tradizionale destinate inevitabilmente
a condurre molti all’ateismo, senza con ciò cadere nel nichilismo che vede la natura solo come forza
cieca priva di ogni direzione, e che quindi si ritrova incapace di fondare l’etica della cura alla base
della medicina e in genere del vivere sociale.
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