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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

XXXII incontro delle comunità cristiane di base e, prima, l’incontro delle donne sempre delle CDB

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Valerio Gigante

LA CHIESA CHE NON TACE. E NON SI ARRENDE. IL XXXII INCONTRO DELLE CDB

Adista n. 86/2010

 

Forse la chiave per “capire” il senso del XXXII Incontro Nazionale delle Comunità Cristiane di Base Italiane, svoltosi a Borgaro Torinese dal 30 ottobre al 1.mo novembre, sta nel piccolo “fuori programma”, andato in scena durante il pranzo di domenica. Il casuale accenno ad un canto della cultura popolare ha dato il via ad un improvvisato coro di canzoni della tradizione operaia e contadina che ha coinvolto tutti i presenti, giovani e meno giovani. Un episodio che rappresenta in maniera efficace non solo la volontà delle CdB di continuare a declinare il proprio impegno a partire dalle lotte e dalle istanze dei senza voce; ma anche la volontà di guardare al futuro in una dimensione di confronto e condivisione che superi le differenze generazionali.

Del resto, nei tre giorni di relazioni, dibattiti, laboratori e tavole rotonde le comunità di base si erano prefisse proprio l’obiettivo di analizzare la crisi (economica, politica, morale) in atto in Italia per dare ragione della loro speranza e ragioni alla propria speranza, per coinvolgersi con chi è impegnato a far uscire il Paese dal tunnel che sta attraversando. E se solo il tempo riuscirà a dire quanto ciò che è stato seminato nel corso dei lavori porterà frutto, l’incontro di Torino lascia intanto

la consapevolezza che le CdB ci sono e che intendono rinnovare il proprio contributo di entusiasmo e creatività a servizio della Chiesa e della società italiana.

Quale risposta al pluralismo?

Circa 300 iscritti ai lavori, una consistente presenza di giovani (cui quest’anno è stato affidata l’animazione del dibattito conclusivo), tre giornate di intenso lavoro caratterizzate da tavole rotonde, laboratori, celebrazioni, attività di animazione, momenti di convivialità. Si è cominciato con un confronto su “Religioni e Chiese nella crisi della società italiana a 150 anni dall’Unità”. A discutere con le CdB, coordinati da Gilberto Squizzato, c’erano Rosy Bindi (vicepresidente della Camera dei Deputati), Monica Lanfranco (giornalista, formatrice sui temi della differenza di genere), Sergio Tanzarella (docente di Storia della Chiesa), Luciano Guerzoni (presidente della Fondazione "Ermanno Gorrieri") e Paolo Ribet (pastore della Chiesa valdese di Torino).

In apertura del dibattito, Guerzoni ha sottolineato che “le società occidentali moderne hanno come caratteristica quella di essere pluraliste. Ma il pluralismo di opzioni religiose è, di fatto, limitato alle confessioni cristiane”. Il contesto attuale, ha detto Guerzoni, “mette a coesistere opzioni religiose radicalmente diverse una dall’altra, tradizioni, opzioni culturali e stili di vita radicalmente diversi”. “Una sfida che ci impegnerà a lungo”, ha chiosato. Soprattutto cristiani e cattolici, che ancora “non sono usciti dalla tentazione integralista”. Ma non c’è altra strada: “La democrazia pluralista non sta in piedi se c’è guerra tra etiche contrapposte che si ritengono depositarie di una verità che dichiarano indisponibile ad ogni confronto”.Concetto immediatamente ripreso dalla Bindi, che ha citato una frase di mons. Pierre Lucien Claverie, domenicano, vescovo di Orano (Algeria), ucciso in un attentato nel 1996. “Io sono credente – scrisse il vescovo algerino – credo che c’è Dio, ma non ho la pretesa di possederlo, né attraverso Gesù che me lo rivela, né attraverso i dogmi della mia fede. Dio non si possiede. Non si possiede la verità e io ho bisogno della verità degli altri”. Se il modello proposto da Claverie è efficace sul versante religioso, su quello politico, le democrazie occidentali si sono sempre basate sul principio di maggioranza. Che oggi però, ha rilevato la Bindi, “vacilla di fronte alla sfida del pluralismo”, che richiede che diverse opzioni e visioni del mondo, non solo quelle prevalenti, trovino cittadinanza e possibilità di esprimersi. Per questo, “su alcune grandi questioni, il senso del vivere e del morire, dello stare insieme, prima di affidarsi al voto, le

comunità politiche devono diventare luogo di dialogo e ricerca e di paziente confronto”. Oggi, al contrario, per la Bindi si corre il rischio del “bipolarismo etico”: “Chi vince impone la propria visione della famiglia, del proprio modo di intendere la convivenza”. Al contrario, in presenza di società come la nostra “la legge dovrebbe indurre i comportamenti, non dettarli, cercare cioè di responsabilizzare i cittadini, ciascuno all’interno della propria visione del mondo”. È in fondo, ha detto la Bindi, quello che i giuristi chiamano “diritto mite, che non penetra nella coscienza, non si sostituisce ad essa, non impone un punto di vista rispetto ad altro ma cerca un punto di vista comune”.

Laicità e Costituzione: principi irrinunciabili

Eppure, ha precisato Monica Lanfranco, se è vero che “diverse visioni devono poter convivere insieme, è altrettanto vero che esse non possono godere di un diritto di cittadinanza assoluto, ma condizionato al rispetto di certi principi irrinunciabili”. Quali? “Quelli indicati dalle leggi che

proprio le donne hanno prodotto”, come quelle sul diritto di voto, il divorzio, la legge 194. Leggi che insegnano “autodeterminazione e responsabilità”, principi cardini per attraversare qualsiasi territorio, per dialogare con qualsiasi cultura”. In ogni caso, ha detto la Lanfranco, “le tradizioni si studiano, ma non per forza si condividono. E la storia è soprattutto fatta dai movimenti che hanno cambiato le tradizioni, che hanno rotto con il passato. Non c’è spazio pubblico di confronto tra culture se non si tiene conto anche di queste differenze”. Ma alla fine, ha aggiunto Guerzoni, “un’etica fondamentale comune che precede l’assetto dell’ordinamento dello Stato, non può che nascere dall’accettazione dei valori della nostra Costituzione, principi che ormai, dopo una lunga sedimentazione storica, sono i valori costitutivi della nostra convivenza civile. Analisi condivisa anche dalla Bindi, per la quale, in ultima analisi, “l’unico valore non negoziabile è la laicità, perché è quel valore che rende possibile quello spazio di dialogo e confronto tra le culture”. Laicità possibile, anche nelle Chiese, ha sottolineato il pastore Paolo Ribet: “Nel momento in cui la Chiesa valdese e metodista ha deciso di firmare un’Intesa con lo Stato, lo ha fatto ponendo dei precisi paletti di laicità: ad esempio – ha spiegato – la nostra Chiesa promuove la presenza dei nostri pastori negli ospedali solo se ci sono malati valdesi; e comunque senza oneri per lo stato. Allo stesso modo, siamo presenti nelle scuole, ma solo se ci invitano; e senza gravare sulle amministrazioni pubbliche”. Lo stesso discorso vale per l’8 per mille: “Abbiamo discusso dieci anni, ma poi abbiamo deciso di aderire ad un sistema che pure non ci convince, utilizzando i soldi dei contribuenti in modo diverso dalle altre confessioni religiose. Non per il culto, ma per sostegno alla diaconia ed alla cultura”. “Anche quando, dopo anni di discussione, abbiamo chiesto di poter accedere alle quote che arrivano dalle firme non espresse, lo abbiamo fatto aumentando in proporzione gli stanziamenti a favore di progetti esteri”. Una scelta di laicità compresa ben oltre i

confini della nostra Chiesa, ha sottolineato Ribet: “Firmano per i valdo-metodisti 350-400mila contribuenti. Ma nella nostra Chiesa siamo poco più di 20mila…”. Insomma, bisogna essere segno di contraddizione, anche nella sfera religiosa. Anche per ricordare a tutti, credenti e non credenti che “il Vaticano non è tutto il cristianesimo”. E che anche le battaglie di minoranza sono utili e preziose. “Non bisogna avere paura dei piccoli numeri”, ha detto Ribet. Anche perché, “spesso i piccoli numeri consentono di camminare con gambe più svelte”.

Cristiani sotto assedio

“La cristianità stessa è sotto assedio”, ha esordito Sergio Tanzarella. Ma non, come indica il senso comune, a causa dei migranti o degli islamici. “È sotto assedio da parte della categoria degli atei devoti. Sono loro che vogliono scatenare guerre di religione, insieme a politiche migratorie che si sono rivelate inumane e persecutorie”. La conseguenza è l’inasprimento dell’odio e della violenza tra i popoli e le religioni. E la paura. “Il dominio della paura è deleterio. Serve a giustificare le guerre, ma non possiamo pensare che la politica militare dell’occidente in Iraq e Afghanistan non abbia conseguenze su coloro che vivono qui”. Insomma, una spirale che sembra non avere sbocchi. E che fa tornare un clima da editto di Tessalonica. Oggi infatti, ha detto Tanzarella, l’ideologia dominante sancisce che “è proibito non essere cristiani. E punisce chi dissente e rifiuta questa logica”. Una “religione civile”, cui hanno contribuito anche le istituzioni. Compreso l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, “per il quale essere italiani significava possedere la bandiera o conoscere l’inno. E celebrare il 2 giugno con il ritorno della parata militare”. Ma noi cristiani, ha sottolineato Tanzarella, “con quella logica non abbiamo nulla a che fare. E dobbiamo ribadirlo in ogni occasione”. “Nella base della Chiesa – ha rassicurato la Bindi – il Concilio non è stato spazzato via. La Settimana Sociale di Reggio Calabria lo ha dimostrato. C’era fermento, anche se il documento preparatorio tentava di intervenire su questioni sociali con una neutralità politica che nella storia non ha mai portato i cattolici a risolvere le questioni sociali”. Semmai – ha rilevato la presidente del Pd – il problema sta ancora una volta nei vertici ecclesiastici, “che invitano il presidente dello Ior a parlare ai laici cattolici”. E se discutibile è la scelta stessa di Gotti Tedeschi, ancor più lo è il contenuto della sua relazione. Il presidente dello Ior, ha spiegato la Bindi, “non si è peritato di sostenere che i banchieri non hanno colpe nella crisi attuale, perché in assenza di ricchezza economica sono stati costretti a puntare sulla crescita finanziaria. E se la ricchezza economica non c’è secondo Gotti Tedeschi è perché non si fanno figli”. “Un discorso che ha offeso l’intelligenza dei 1.500 presenti”.


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Cristina Mattiello e Valerio Gigante

FUTURO “ANTERIORE”: IL PATTO GENERAZIONALE DELLE CDB

Adista n. 86/2010

Nella giornata di sabato, Con il lavoro dei “laboratori”, che rappresentano da sempre i momenti in cui le CdB si confrontano sull’impatto fra il loro specifico impegno e il contesto generale nel quale si trovano ad operare, l’Incontro Nazionale delle CdB è entrato nel vivo.

Tante violenze. Quali risposte?

Il primo laboratorio (“La violenza sull’ambiente in una società capitalista che promuove guerre, migrazioni di massa e pregiudica il futuro”) ha sottolineato la necessità di un cambiamento dei paradigmi culturali con cui ci siamo finora posti nei confronti dell’ambiente e di buone pratiche segnate da “sobrietà” e “solidarietà”. Anzitutto, attraverso il passaggio da una cultura dell’io, dell’onnipotenza, dello sviluppo illimitato alla cultura del noi basata sulla coscienza del limite, sulla consapevolezza dell’apporto che possono dare all’approccio al problema (così legato ai temi della giustizia, della guerra, dell’economia) altre narrazioni che vengono dalle sapienze del vivere delle donne e di altri popoli, anche reinterrogando criticamente la tradizione biblica.  Nel secondo laboratorio (“La società multiculturale condizionata dal potere dei media e dall’ingerenza delle gerarchie cattoliche”), nella cui preparazione era coinvolta con la Comunità del Cassano di Napoli, (che promuove il gruppo della Scuola di pace) la redazione di Tempi di fraternità, erano previsti due distinti momenti di riflessione.  Il primo era imperniato sulla complessità del rapporto di comunicazione tra chi si occupa dell’integrazione linguistica e i migranti. Ne sono scaturite domande, riflessioni, puntualizzazioni da parte dei tanti, tra i presenti, che in vario modo si occupano dell’insegnamento della lingua italiana ai migranti e della tutela dei loro diritti. Si è discusso così della sfaccettata articolazione del fenomeno migratorio e dell’assoluta inadeguatezza degli strumenti informativi, organizzativi e normativi per farvi fronte.

Successivamente, il laboratorio si è concentrato sull’analisi delle modalità di accoglienza e integrazione nterazione, spesso costrette a contrastare faticosamente un’opinione corrente influenzata da media che formano nell’immaginario collettivo stereotipi destinati a scavare solchi di pregiudizio e di paura. Il “problema” dei migranti, è stato ricordato, non è poi così difficile da risolvere: “Il modo più semplice per far sparire tutti gli stranieri è la fraternità: considerarli fratelli, cioè prossimo”.  Nel terzo laboratorio (“Violenza, dignità calpestata, diritti negati delle donne, delle persone Glbt, dei/delle bambini/ e, dei malati in una società maschilista e patriarcale”), coordinato dalla Comunità dell’Isolotto, centrale è stata la riflessione, da tempo avviata nelle Cdb, sui condizionamenti imposti alle relazioni sociali dal permanere del maschilismo e del patriarcato. In verità, si è detto, è necessario collocare il peso di tali condizionamenti di “genere” all’interno delle conseguenze imposte dalla fondamentale divisione in dominanti e dominati nelle società in cui vige la condizione individualistica e la regola della concorrenza. Resta comunque una condizione particolare legata alla differenza di genere. Così, per meglio riflettere su di essa e sulle responsabilità maschili nel determinarla, un piccolo gruppo degli uomini presenti si è riunito separatamente.

Prove “pratiche” di nuova Chiesa

Il quarto laboratorio (“La crisi della democrazia e della partecipazione e la perdita del senso della solidarietà”) ha ribadito l’importanza di denunciare l’invadenza della gerarchia cattolica come soggetto politico nella nostra vita sociale e nel nostro ordinamento democratico e di smascherare in ogni sede possibile ogni mistificazione del messaggio evangelico. In questo senso, è stata ribadita l’opportunità di lavorare con maggiore impegno nella costruzione di “reti” con tutti i gruppi e le realtà ecclesiali che si pongono all’interno della Chiesa in uno spirito critico e di ricerca, organizzando iniziative che raccolgano la più ampia adesione possibile.

Altro momento centrale della giornata è stata la celebrazione dell’eucarestia la cui preparazione, secondo la tradizione che la vuole affidata alle comunità responsabili dell’organizzazione degli Incontri, è stata curata dalle comunità piemontesi, che, in apertura, hanno presentato le testimonianze di alcuni dei partecipanti all’Incontro per condividere insieme qualche segno concreto di speranza.  Come quella che viene da Genova, dove per il 2011 è previsto il decennale della rete internazionale delle donne, in collegamento con gruppi di ogni parte del mondo, sui temi della globalizzazione neoliberista ed i suoi effetti sulla vita delle donne. O da Ivrea, dove sta per partire una comunità per l’accoglienza di persone ex detenute. O da Venezia, in pieno territorio leghista, dove è nata una comunità monastica aperta al contributo di tutti i gruppi e persone di ogni fede ed ogni provenienza Ha concluso la giornata il concerto offerto dall’Associazione musicale “IM ensemble”, un gruppo di giovani di Rivalta che ha eseguito “Passaggi”: incontri musicali fra popoli in cammino attingendo ai patrimoni musicali arabo-andalusi, ebraico-turchi, rom, kossovari e macedoni.

Passaggio di testimone

Il 1.mo novembre l’Incontro delle CdB si è chiuso nel segno della speranza, con un’intera mattinata dedicata ai giovani delle comunità e gestita in toto da loro. “Siamo a un giro di boa”, è stato uno dei commenti: dopo anni di difficoltà a intravedere un passaggio di consegne possibile, nelle CdB è finalmente emersa una “nuova” generazione di cristiani maturi e consapevoli, creativi, autonomi, pienamente integrati nel movimento (“Non ci sembra neanche necessario indicarci come ‘giovani’: dobbiamo lavorare e costruire insieme”, hanno detto). Durante i lavori, sono state presentate esperienze di fede da nord a sud del Paese, la cui caratteristica è quella di essere animate da giovani cristiani critici e di essere fortemente radicate nel sociale, nelle situazioni più degradate e a rischio: un antidoto alla pigrizia e al conformismo, la risposta giusta alla solitudine, alla precarietà, alla tentazione di chiudersi, o di nascondersi dietro le chat, che fanno aumentare la comunicazione, ma diminuire la relazione, come ha sottolineato Sergio Durando, dell’Asai (Associazione animazione interculturale di Torino). Il primo obiettivo della sua associazione, ha spiegato, è fare incontrare davvero le persone: un “noi” già plurale rispetto a tanti “altri” che ci troviamo accanto, in prospettiva di una interazione più che di una integrazione, per la costruzione di una società davvero nuova, in cui siamo tutti noi stessi e un po’ diversi da prima. Rosario La Rossa ha presentato in modo non retorico ma molto toccante l’esperienza di un gruppo di base anti-camorra, nato dopo l’omicidio di un ragazzo disabile – suo cugino – che non ha potuto schivare un proiettile vagante. Così, oggi, l’Associazione Voci di Scampia, lavorando non su grandi eventi, ma nella quotidianità, è un punto di riferimento importante in un’area a fortissimo rischio: collega infatti più di 60 associazioni e, oltre al lavoro di sensibilizzazione e informazione, svolge anche la funzione di supporto per una formazione che aiuti i giovani a non cadere nelle trappole della microcriminalità. Gestisce anche la casa editrice Marotta e Cafiero, ricevuta in dono in segno di solidarietà.

Matteo Saccani ha invece presentato una delle numerose attività della cooperativa Terra del Fuoco di Torino, il lavoro con i Rom, che li ha visti impegnati nel sostegno materiale a diverse famiglie vittime di sgomberi. Il progetto implica un complesso lavoro di “autorecupero”, che è anche un percorso di formazione e occasione professionale: pulizia del campo e/o ristrutturazione di un edificio occupato e poi avuto in gestione dalle istituzioni (il “Dado”), nel quale il gruppo attua anche la “abitazione solidale”. Gli altri due interventi hanno dato una cornice teorica all’impegno sociale come via d’uscita dalla crisi: il pastore valdese Stefano D’Amore, ha illustrato il senso del discepolato alla luce del concetto di precarietà che, se non è imposta dalle circostanze, è per il cristiano una scelta d’elezione, in quanto ricorda la figura del Cristo stesso, mentre Simona Borello, del Chicco di Senape di Torino, ha fornito un quadro dei problemi che si pongono oggi per i giovani sul piano della comunicazione: il dominio della Tv commerciale, ha detto, ha provocato un “mutamento antropologico”, imponendo il suo mondo come unico immaginario possibile. In tale situazione, il mettersi in rete, anche attraverso un uso consapevole della “Rete” e dei Social Network, e poi attraverso i rapporti comunitari, è l’unico strumento per uscire dalla solitudine e arrivare alla partecipazione: il Regno è qui ed è già gioia lo stare insieme.

 IL TEMPO DELLE NARRAZIONI DAL

Nei giorni 9- 10 ottobre si è tenuto in Castel San Pietro Terme (BO) il XVIII incontro nazionale dei gruppi donne delle Comunità di base in collaborazione con gruppi donne in ricerca di Padova, Ravenna, Verona, Donne in cerchio, Il Graal-Italia, Thea teologia al femminile sul tema:

IL TEMPO DELLE NARRAZIONI DAL MARGINE – Le sapienze del vivere, la gaia follia del trascendere.”

Siamo giunte a questo importante incontro dopo una riflessione nata dal bisogno di ripartire da sé, dalla propria narrazione vista all’interno di un percorso comune.

Infatti, come è scritto nell’invito all’incontro “le parole delle grandi narrazioni sono abusate, usurate, non riescono a prefigurare uno spazio di libertà per le relazioni fra donne e uomini, tra individui che si vogliono ri-conoscere nelle loro diversità.

 Il nostro percorso sul divino, che ha cercato all’inizio autorevolezza nelle donne della grande narrazione biblica, che è poi continuato con l’impegno a decostruire le immagini patriarcali e a s/confinare il divino dal centro al margine, ci obbliga ora a fare i conti con altre narrazioni.

 Ci porta a sperimentare pratiche che nascono dalle molteplici sapienze del vivere e che possono essere trasformative della pesante realtà che viviamo, alla ricerca come siamo di un divino che sia portatore di gioia.”

Come sempre il convegno ha visto dei momenti assembleari in cui le relatrici Chiara Zamboni, Cristina Simonelli e Grazia Villa hanno espresso il loro pensiero unendo alla riflessione filosofica/teologica, quella sul proprio cammino di vita.

In particolare Chiara ci ha stimolate ad andare oltre l’opposizione tra margine e centro e seguire invece il logos del cuore che ci porta a superare il conflitto nell’amore verso la realtà, lasciandoci libere di seguire e rispondere a ciò che ci attrae.

Nel pomeriggio del sabato ci siamo divise i 4 laboratori:

–          “la casa e la strada: le diversità ci appassionano” a cura del Gruppo donne Cdb Genova Oregina

–          “La leggerezza e la gioia dei nostri incontri con tre donne dei Vangeli: la Sirofenicia, la Samaritana; Maria di Magdala”  a cura del Gruppo donne in ricerca di Ravenna

–          “La risata di Baubò. Liberare la sorridente sapienza del divino femminile”  a cura di Luisella Veroli (Le Melusine-Milano)

–          “Dal margine del margine:voci di donne Rom”  a cura de Il Graal-Milano

La giornata si è poi conclusa con la narrazione della griot Brigitte Atayi sulle fiabe e danze africane legate alla sua esperienza di vita.

Tutte le narrazioni, così varie, sofferte o gioiose, fatte da giovani o da donne anziane hanno trovato uno spazio di accoglienza dentro un’idea del divino femminile materno incarnato in tutto il creato, in ogni sua creatura e riflesso in ogni voce, in ogni parola nuova che abbiamo sperimentato.

Questo incontro così partecipato si è concluso, all’interno del momento celebrativo, con gli interventi di Cristina Simonelli e Grazia Villa che hanno rilanciato parole che sono emerse nel convegno confermando un andare leggero, aperto alla sapienza e alla gaia follia del trascendere.  

                                                         
Anna Caruso

della CdB "La porta" di Verona e del gruppo "Donne in ricerca" di Verona

  


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