Coronavirus: una sfida e un’occasione per la vita della Chiesa
“Noi Siamo Chiesa”, nel documento allegato, ha raccolto le sue riflessioni sulla situazione attuale a partire dalla constatazione della fragilità del genere umano e della assoluta necessità di adeguati poteri pubblici di intervento a livello locale e mondiale. Tutti siamo interdipendenti. Le chiusure sovraniste mostrano il loro vuoto di prospettiva. Il movimento di consenso e di solidarietà in atto non può nascondere quante ampie siano le aree di sofferenza presenti nel nostro paese, che sono sempre ben minori dalle devastazioni già in atto o prossime nei paesi poveri del mondo. Le forti restrizioni dei diritti in corso presentano il rischio di continuare oltre l’emergenza, la vigilanza dovrà essere rigorosa. L’esclusione dei famigliari dal capezzale dei malati è fatto penoso e ci si chiede se non è possibile prevedere eccezioni in casi specifici che siano garantiti per quanto riguarda i rischi di contagio.
L’assenza dei riti può essere l’occasione perché ci sia un nuovo protagonismo del Popolo di Dio nella ricerca di come pregare che prenda atto dei limiti del monopolio del clero nella gestione della vita comunitaria. Le messe online, fotocopia di quelle tradizionali e pure inevitabili, mettono a nudo quanto l’assemblea sia elemento costitutivo della celebrazione eucaristica. Il documento continua parlando di “sacramentalità di base” per indicare la possibilità di modalità nuove della vita di fede (benedizione dei malati, e di particolari momenti della vita famigliare o individuale, riconciliazione, preghiere ecumeniche…) che siano bene studiate e praticate e perché possano poi essere proposte alla normale vita ecclesiale.
Quanto alla tradizionale religiosità popolare, che nel nostro paese è ben presente in situazioni di emergenza, si dice che le sue manifestazioni “da una parte devono essere pensate e vissute senza leggere in modo distorto il rapporto tra la storia dell’uomo e la presenza di Dio nella storia, dall’altra devono essere profondamente rivisitate, alla luce del Concilio, nella linea dei tentativi della Liturgia di confrontarsi con le sfide del mondo contemporaneo”.
Il documento si conclude affermando che “forse potrà essere possibile un nuovo orientamento della vita associata, nuovi obiettivi di fondo”, una più equa distribuzione delle risorse con un ruolo importante dell’Unione Europea ed “una nuova consapevolezza della necessità di un forte intervento di governo a livello mondiale fondato sull’etica globale di cui parla Hans Küng”.
Roma, 5 aprile 2020 NOI SIAMO CHIESA
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Coronavirus: una sfida e un’occasione per la vita della Chiesa
Sulla situazione e la gestione della crisi
Riflettendo giorno e notte sulla gravità e l’eccezionalità della situazione in cui ci troviamo, ci sono fatti che si impongono per valutazioni e criteri di comportamento da assumere da subito, sia individualmente che in ogni forma associata. Anzitutto vediamo quanta sia intrinseca la fragilità di questa nostra società con le sue mete ambiziose di sviluppo e di progresso e con una speranza nella scienza che ci si rivela eccessiva. Domande di senso sul suo presente e sul suo futuro si impongono ad ognuno di noi, ad ogni struttura associata della nostra convivenza e ad ogni popolo.
L’interdipendenza globale, mondiale, ci appare nella sua materialità, i confini sono cancellati, i muri non esistono più e l’umanità tutta è stressata da problemi comuni (ai ricchi e ai poveri, ai fragili e ai forti, al Nord e al Sud), problemi che tuttavia pesano in forma ben differente sugli uni e sugli altri. La necessità di istituzioni, efficaci, efficienti, globali e locali, si impone in molti campi da quello sanitario a quello contro il degrado dell’ambiente da perseguire sulla base delle indicazioni della Laudato Si’. La mano pubblica, spesso vista con diffidenza in nome di interessi privati, ora è necessaria per tutti. La situazione è diversa da altri momenti tragici del passato. Non ci pare ci sia un complotto ordito da qualcuno o un nemico da aggredire da cui difendersi, la condizione è comune ovunque, ma troppi Paesi nel mondo sono indifesi, privi di strutture sanitarie adeguate con condizioni di vita delle popolazioni precarie tali da rendere ben difficile il contrasto alla pandemia e improbabile la ripresa al termine dell’emergenza.
In Italia
In Italia molte forme di solidarietà si stanno manifestando, una certa coesione (di cui sono protagonisti i sanitari in prima battuta) e un diffuso senso comune compaiono inattesi in controtendenza rispetto al recente passato in cui il riflusso sovranista e individualista sembrava dominante. Le decisioni inevitabili del Governo vengono in genere capite e accettate. Emergono energie che si manifestano nei momenti di difficoltà. Bisognerà impedire che esse rifluiscano, passata l’emergenza. Però alcune forti preoccupazioni dobbiamo rendere esplicite. Chi è dentro al sistema di protezione può sperare di essere aiutato in qualche modo dall’intervento pubblico. Altri, i più deboli, sono esclusi o sopportano gravi difficoltà. Pensiamo ai tanti lavoratori precari o in nero, ai migranti, ai clandestini, ai senza fissa dimora e a tanti altri. Pensiamo alle condizioni del sistema carcerario, già fortemente precario. Inoltre i diritti dei singoli, ora fortemente compressi, corrono il rischio di continuare ad essere controllati in futuro, tanto gli abusi sono intrinseci alle strutture del potere (sia dell’intervento pubblico sia delle grandi compagnie delle comunicazioni). Il rischio del totalitarismo tecnologico esiste. Le norme sulla cosiddetta geolocalizzazione devono essere a tempo e rigorosamente finalizzate alla lotta contro il contagio; non devono essere introdotte se lo sviluppo della pandemia non le rende assolutamente necessarie.
L’esclusione dei famigliari dal capezzale del malato grave o del morente crea una grande sofferenza; mentre l’evento supremo della morte dovrebbe poter essere umanizzato anche in queste circostanze eccezionali. Le norme in vigore escludono del tutto presenze diverse dai sanitari. Ci sembra però che esse dovrebbero essere gestite, dove possibile, con elasticità in modo da permettere, caso per caso, il superamento dei rigidi vincoli ora esistenti (1). Cose assurde non trovano alcuna, neanche apparente, giustificazione: si chiudono attività produttive non essenziali, ma hanno mano libera le industrie nel settore degli armamenti! I conflitti tra il Governo nazionale e le Regioni mostrano l’esigenza di una più chiara ripartizione delle competenze e la carenza di norme costituzionali e legislative sullo stato d’emergenza è sotto gli occhi di tutti. È poi doloroso prendere atto di quanto l’Unione Europea stenti ad assumere provvedimenti incisivi di solidarietà comune che pure l’occasione dell’emergenza imporrebbe. Manca una unica forte azione politica continentale e addirittura continuano ad emergere spinte antidemocratiche, come in Ungheria. Mancano del tutto principi ed istituzioni che possano gestire nel mondo una crisi di dimensioni generali.
Vita ecclesiale
Ci troviamo in una situazione unica per ripensare, da parte di tutto il Popolo di Dio, le forme della vita di fede. Si pongono, ci sembra, interrogativi di fondo e di lungo periodo sulla vita della Chiesa, in particolare per quanto riguarda l’attuale eccessiva uniformità liturgica e lo stesso rapporto tra l’autorità centrale e le diocesi, le parrocchie, gli ordini religiosi, i movimenti, i gruppi di base. Ognuno, nella sua vita spirituale, ed ogni struttura di vita cristiana comunitaria riflettano, in questo periodo di assenza dei riti, su come si possa pregare e credere in modo un po’ diverso. Pensiamo al clericalismo che conculca i diritti e il ruolo del popolo di Dio a causa della eccessiva sacramentalizzazione della vita comunitaria. Proponiamo che ci si concentri più di ora sulla Parola di Dio, intensamente letta e approfondita “dal basso”, perché ciò possa prefigurare per il futuro percorsi che vadano oltre laroutine delle letture e delle omelie domenicali della normale vita ecclesiale, cogliendo meglio il senso e la portata del rapporto tra il vissuto individuale e comunitario e il messaggio evangelico.
Per capire dove siamo, cerchiamo anche di riflettere sulle situazioni di fronte alle quali ci troviamo in queste settimane. Ci sono manifestazioni di religiosità popolare relative alla pandemia, nei confronti di statue, santi, simboli e altro (dalle caratteristiche molto diverse tra di loro) che si richiamano a devozioni molto lontane nel tempo e ancora radicate nella sensibilità di una parte del popolo cristiano. Esse, ci sembra che da una parte debbano essere pensate e vissute senza leggere in modo distorto il rapporto tra la storia dell’uomo e la presenza di Dio nella storia, dall’altra debbano essere profondamente rivisitate, alla luce del Concilio, nella linea dei tentativi della Liturgia di confrontarsi con le sfide del mondo contemporaneo.
Papa Francesco venerdì sera da solo in piazza S. Pietro ha pregato facendosi bene interprete di forti sentimenti di fede e di speranza che sono andati ben al di là della Chiesa cattolica. Ci sembra però che sia stata impropria l’ostensione dell’ostia consacrata. Lo stesso pensiamo per l’indulgenza plenaria ai malati e a chi assisteva da lontano, se essa è vista non come la misericordia dono di Dio di cui parla la Misericordiae Vultus (bolla di indizione del recente Giubileo), ma come vecchio istituto ecclesiastico ignorato dal Concilio e ben poco capito e conosciuto ora dal popolo cristiano. Ci sembrano concessioni a modalità tipiche di una Chiesa preconciliare che capiamo poco e che sono antiecumeniche.
Le messe in streaming o in TV devono essere seguite con molta moderazione e comunque con una presenza minima che rappresenti il Popolo di Dio: non solo chierici ma anche e soprattutto laici, uomini e donne. L’Eucaristia senza popolo raccoglie in sé una sofferenza evidente ma non bisogna pensare che senza la messa non c’è niente altro. La staticità e la lontananza della messa online rischia di ripetere quella tradizionale mentre sono anche altre le forme della preghiera a cui si può ricorrere superando inutili vincoli. Pensiamo alla Liturgia della Parola, a quella penitenziale comunitaria, a meditazioni dialoganti. “Pensare che l’unica cosa che rimane a un fedele laico, in questo momento, è il collegarsi a una Messa virtuale, è inoltre un segno tangibile che nella nostra chiesa manca la piena consapevolezza che ogni battezzato possiede in sé, in forza del Battesimo, quella dimensione autenticamente sacerdotale che lo rende capace di un vero rapporto con Dio” (2).
Modalità nuove
Ci pare che la situazione eccezionale possa aprire la strada a modalità nuove di preghiera, problema in parte nuovo e non facile. Ci ricordiamo di quanto Gesù disse alla samaritana (Gv 4,21): “Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre”. Può essere, per esempio, una celebrazione domestica, famigliare (ma si pone il problema dei tanti che vivono da soli o che hanno famiglie divise). Possono ipotizzarsi preghiere interconfessionali o con credenti di altre religioni o meditazioni con chi è in ricerca, con chi ha domande di senso. La lettura del Vangelo può essere organizzata con chi seleziona i testi e li introduce. Si possono riscoprire i Padri della Chiesa. Molti fanno riferimento a interpreti del Vangelo che da tempo accompagnano la nostra vita (i teologi della liberazione, molte teologhe, don Mazzolari, don Tonino Bello, don Milani, padre Turoldo, padre Balducci, padre Ortensio da Spinetoli e altri) e ce ne facilitano la comprensione, indicando nuove strade. Ma ci sono altre possibilità. Sul web si trovano buone proposte (3) che suggeriscono anche forme diverse dalla sacralità tradizionale (fiori, simboli, doni, canti). Tanto di nuovo è possibile. Quanto alle celebrazioni eucaristiche fuori dal rigido diritto canonico ci sembra che esse abbiano piena legittimità, non devono essere esorcizzate e fanno ormai parte della vita di comunità che vogliono vivere con intensità il Vangelo (4). Per quelle che rispettano le norme bisogna, in questa pausa eccezionale, proporre l’introduzione di quanto può essere sperimentato “dal basso”. La Messa telematica può non essere la fotocopia di quella tradizionale. Le letture previste dal canone possono essere modificate, la riflessione su di esse deve essere collettiva con una determinante partecipazione femminile.
Quanto ai sacramenti diversi dal Battesimo e dalla Eucaristia (di cui parla il Vangelo) si può pensare a una nuova “sacramentalità di base” (benedizione del morente, riconciliazione collettiva, benedizione di particolari momenti della vita famigliare o individuale, ecc.). Ci possono essere modalità plurime di pensarli e di viverli. Essi possono essere una nuova ricchezza per tutta la Chiesa se si evita lo spontaneismo, l’improvvisazione, se sono proposti a una pluralità di comunità e anche se ambiscono a essere poi presi in considerazione dalla normalità della vita ecclesiale delle parrocchie. Il rischio della frammentazione e della dispersione, se si tentano strade nuove, esiste, ma la loro ricchezza spirituale può essere ben maggiore di quella dei vecchi riti consuetudinari, ora poco comprensibili. Ha scritto Andrea Grillo (5) che si possono aprire “spiragli di esperienza e di consolazione, di pace e di conforto” e che “quando domani potremo uscire di nuovo e tornare serenamente a radunarci scopriremo forse di non poter più essere distratti, trascurati o inerti”. Molti hanno anche detto che la vera messa, in queste settimane di emergenza, è aiutare più e meglio di prima quel numeroso prossimo che è in difficoltà perché in preda alla solitudine o che è afflitto da necessità materiali o ha bisogno di assistenza.
Davanti al grande interrogativo “dov’è Dio?” e davanti alla morte (troppo spesso rimossa dalla riflessione anche in ambito cristiano) non possiamo che pensare e pregare. Sono le grandi questioni che ci si presentano anche in tante altre situazioni di difficoltà e di sofferenza. Allora interroghiamo Gesù e Dio Padre misericordioso che ci dà una risposta che non sempre capiamo.
Dopo l’emergenza
I momenti di mobilitazione solidaristica e di sacrifici collettivi non devono terminare dopo la fine dell’emergenza. Nuovi e più genuini rapporti interpersonali, in famiglia, nei luoghi di lavoro e nella vita sociale possono nascere per una diversa percezione del senso del proprio vissuto a confronto con obiettivi e pratiche che possono rivelarsi come logorati od eccessivi (successo, denaro, alcool, sostanze, illegalità, ecc.). Potremmo diventare più consapevoli che nel bene come nel male le conseguenze delle nostre azioni ricadono sempre anche sugli altri. Non ci sono atti individuali senza conseguenze sociali: vale per le singole persone, come per le singole comunità, società, popolazioni. Forse potrà essere possibile un nuovo orientamento della vita associata, una nuova etica del vivere collettivo. Alcuni processi saranno inevitabili come certi modi concreti della nostra esistenza (per esempio nell’accelerazione del sistema delle comunicazioni). Altri dovranno essere contrastati, come quelli derivanti dalle chiusure sovraniste in Europa. L’Unione Europea dovrà perseguire nuovamente gli obiettivi di difesa dei valori democratici, di solidarietà all’interno, di promozione della giustizia nei rapporti tra i popoli e di contrasto al riarmo.
Il problema delle disuguaglianze crescenti e di molte fragilità del tessuto sociale non potrà che essere affrontato con nuove risorse che potranno essere reperite all’interno (gravando sui ceti abbienti) o all’esterno. Comunque ci sarà un costo, ma ci sarà anche l’occasione per guardare in avanti. In questo sguardo, finalmente non più angusto, dovrà esserci una nuova consapevolezza della necessità di un nuovo forte intervento di governo a livello mondiale fondato su quell’etica globale di cui parla Hans Küng. Esso è preteso da una parte contro il disastro ambientale e dall’altra a favore della riduzione del disordine attuale nelle relazioni tra i popoli in cui dominano solo la disuguaglianza e la guerra mondiale a pezzi. Ad esso si aggiunge ora la necessità di intervenire sui problemi della sanità nel mondo.
Roma, 5 aprile 2020 NOI SIAMO CHIESA
(1) A proposito della sofferenza per la mancata assistenza Ivo Lizzola ha detto, in un intervista sull’Eco di Bergamo del 14 marzo, queste belle parole: «Le mie cugine non possono stare vicino alla loro mamma. Questo ci mostra come sia vero quel profondissimo desiderio di ognuno di tornare a sentire, alla fine della vita, il gesto che ci ha toccato quando siamo nati, siamo stati accolti dal palmo di una mano che ci ha presi, accarezzati e puliti, e così “messi al mondo”: adesso speriamo di risentire quel palmo della mano sul nostro volto morendo. Ma questo non è possibile. Però speriamo in modo struggente che qualcuno là, lontano, nel fondo di una Terapia intensiva, si ricordi di quella cura, che qualcuno porti il suo palmo sul nostro palmo, anche se è uno sconosciuto. Che lo faccia non in nome dell’Umanità, ma di quell’umano concreto che si è manifestato proprio in quella persona, nella sua vita che adesso finisce. Non possono esserci i parenti? Però ci sei tu, e allora accarezzalo, tienigli la mano. Solo questo può lenire la fatica, per chi lo ha amato, della distanza, quando noi fossimo sicuri di questo gesto che ci permette di ringraziare, comunque, la vita, il fatto che siamo gli uni degli altri. In quel momento anche se tu non ci sarai non è che non ci sarà nessuno, ci sarà qualcuno. E allora anche tu puoi essere per i tuoi vicini di casa quella presenza che non è possibile ad altri, i loro parenti, i loro “propri”. Sapere che si muore così è diverso dal morire nell’estrema solitudine. Poi, a ben vedere, si muore sempre soli”.
(2) leggi Andrea Grillo su “Rivista di Pastorale Liturgica” (numero speciale in omaggio leggibile online) che contiene molti approfondimenti e suggerimenti per la liturgia in periodo di quarantena.
(3) leggi un articolo di Luca Mazzinghi, leggibile al http://www.noisiamochiesa.org/wordpress/wp-admin/post.php?post=7948&action=edit
(4) Alberto Melloni ha scritto (5 aprile 2020 su “Repubblica”) parole che vale la pena conoscere: “La Chiesa, che snobbò il bisogno di eucarestia dei popoli senza preti, deve sperare che nelle case qualcuno si assuma il compito (un ministero, nel linguaggio ecclesiale) di ricordare con gioia penitente la Pasqua di Gesù. Di ciò che accadrà in quelle case nessuno avrà il polso. Forse, come accadde nei gulage accade oggi nelle favelas, qualcuno non prete spezzerà il pane: non per una indisciplina che non potrebbe essere ammessa, non per applicare la più classica teologia, che pure c’è: ma solo per vivere e alimentare la fede”.
(5) sempre sulla “Rivista di pastorale liturgica”, cit.
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