NOI SIAMO CHIESA
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Ratzinger contrasta papa Francesco e si fa portavoce dei conservatori presenti nella Chiesa e del peggio della Curia romana
La prima reazione alla notizia che tutti i media danno oggi dell’intervento di Ratzinger contro l’abolizione del celibato sacerdotale è stata di sconcerto. Egli rompe la sua iniziale molto esplicita promessa di non intervenire sull’operato del suo successore. Il fatto è grave anche perché non dice cose neutre o fa riflessioni senza riferimenti all’attualità ecclesiale. Stiamo infatti attendendo le decisioni di papa Francesco sulla proposta del Sinodo dell’Amazzonia sui viri probati che sono necessari per la vita della Chiesa in quel continente. Egli si schiera con l’ala più arretrata presente in Vaticano, in questo caso con il Prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti Card. Robert Sarah. Questo Cardinale compie 75 anni in giugno e non dubitiamo che sarà congedato da papa Francesco, come già fece con il prefetto dell’ex-S.Uffizio Card. Müller. Avevamo auspicato a suo tempo che, secondo buon senso e responsabilità ecclesiale, Ratzinger-Benedetto XVI si ritirasse, silente, in qualche monastero in Baviera. Ciò non è successo ed ora egli sta perdendo con questo intervento e con quello dello scorso aprile il credito che aveva acquisito, in grandi aree della nostra Chiesa, con le sue dimissioni. Soprattutto ci sembra scorretto che il libro, che uscirà a giorni da Fayard e scritto con Sarah, sia firmato da “Benoit XVI” come appare sulla copertina. Egli, ci sembra, abusi in questo modo della sua precedente autorità nella Chiesa.
Detto questo, ciò che emerge dal testo di Ratzinger/Sarah è una concezione sacrale del “Sacerdote” (noi preferiamo chiamarlo “presbitero”) che è in contraddizione con la migliore teologia, con lo “spirito” del Vaticano II e con la pratica di una parte della vita quotidiana della Chiesa. Il Sacerdote deve essere impegnato soprattutto nella preghiera e nel celebrare l’Eucaristia. Inoltre si afferma nel libro: “Si può dire che l’astinenza sessuale funzionale si è trasformata in astinenza ontologica”. Che significa? Che la consacrazione porterebbe a un cambiamento della natura stessa del credente-prete? Ma i preti sposati, che ci sono nella Chiesa Cattolica, sono di serie B? non avrebbero questa mutazione ontologica? Noi pensiamo che il prete ha un ruolo nella Chiesa solo perché riconosciuto e accettato dalla sua comunità per la quale egli è il presidente dell’Eucaristia. Qualsiasi riferimento al rapporto presbitero-comunità pare sia assente nel testo. Questa idea del Sacerdote inoltre non fa che congelare l’attuale distinzione rigida esistente tra struttura gerarchica e i “laici”. Essa è evangelica? Non si potrebbe pensare che il celibato sia comprensibile con la vita monastica che ha così tanta tradizione ma non per la normale vita delle nostre diocesi e delle nostre parrocchie ? E poi la negazione dell’Eucaristia a una parte dei credenti, perché impossibile di fatto in alcune situazioni, non costituisce forse un “peccato” della Chiesa a cui si può senza difficoltà porre rimedio modificando una legge solo ecclesiastica? E perché fermare ora una riforma che sarà inevitabile fare in un futuro neanche troppo lontano? Nel testo si afferma anche “che nella Chiesa antica gli uomini sposati potevano ricevere il sacramento dell’Ordine solo se si fossero impegnati a rispettare l’astinenza sessuale e, perciò, a vivere una vita matrimoniale come fratello e sorella. Ciò sarebbe stato del tutto normale nei primi secoli”. E’ possibile che succedesse una cosa del genere? Che dicono gli storici della Chiesa?
Se si vuole parlare del celibato bisognerebbe parlare allora di tutta la situazione dei presbiteri nella Chiesa, della loro formazione al celibato, delle degenerazioni dei comportamenti di una piccola minoranza (abusi sessuali nei confronti di minori e di suore), della difficoltà ad avere la dispensa dal celibato e anche di altro (oltre a tutti gli aspetti positivi del clero), per esempio del fatto che il prete, per la sua collocazione nella struttura, non rischia mai la disoccupazione o la vera povertà . Poi il libro dice “ Senza la rinuncia ai beni materiali non si può avere sacerdozio”. Bella affermazione ma bisognerebbe continuarla con una riflessione sui beni della Chiesa, sulla povertà della Chiesa e nella Chiesa. La povertà del singolo, qualora esista, si accompagna, a volte ed almeno in certi paesi, alla gestione, con ben scarsi controlli, dei beni della Chiesa, a volte cospicui; egli dovrebbe avere la preoccupazione di un uso rigoroso e, soprattutto, della loro effettiva destinazione “ai poveri” (come diceva con chiarezza lo stesso codice di diritto canonico del 1917).
Vittorio Bellavite
coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa
Roma, 13 gennaio 2020
Oggetto: In difesa di papa Francesco di José María CASTILLO
In difesa di papa Francesco
di José María CASTILLO
Sono profondamente rattristato dalla notizia dell’imminente pubblicazione di un libro in cui il dimesso papa Joseph Ratzinger e un altro importante chierico, come il cardinal Sarah, si oppongono all’attuale Sommo Pontefice della Chiesa, papa Francesco. Il motivo dello scontro è la questione del celibato dei preti, che, come sembra, a giudizio del papa dimesso la Chiesa deve mantenere come obbligo necessario, sebbene i cristiani dell’Amazzonia non possano avere preti che presiedano la messa per quelle persone e non possano aiutare quei cristiani in questioni per le quali la stessa Chiesa richiede la presenza di un prete.
Se veramente è certo che il dimesso papa J. Ratzinger e il suo alleato Sarah vogliono opporsi all’attuale Sommo Pontefice per mantenere (a tutti i costi) il celibato dei preti, sia Ratzinger che coloro che sono d’accordo con lui in questa materia devono sempre considerare che la Fede e la Tradizione Secolare della Chiesa ci insegnano che il pensiero e il criterio di governo, da loro difeso, non possono opporsi al criterio fondamentale della fede e dell’unità della Chiesa, che comprende essenzialmente la comunione con il Vicario di Cristo in terra, il vescovo di Roma. Ciò è stato definito dal Concilio Vaticano I come una questione di “fede divina e cattolica” (Costituzione “Dei Filius”, cap. 3°. Denz. – Hün., n. 3011 e dalla Costituzione “Pastor aeternus”, cap. 3 °, Denz. – Hün., n. 3060). Per questo è incomprensibile che chi ha destituito tanti teologi per non essersi sottomessi incondizionatamente al magistero papale, come nel caso del cardinal Ratzinger, mentre era prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, ora si opponga a papa Francesco in una questione che non influisce sulla fede della Chiesa. In realtà è della massima importanza tenere presente che la questione e l’obbligo del celibato ecclesiastico non sono mai stati e non lo sono attualmente un dogma di fede. E non è neanche un dovere universale della Chiesa. Poiché nelle Chiese Orientali l’obbligo del celibato ecclesiastico non è mai stato mantenuto e non si mantiene. Inoltre, l’autorità ecclesiastica dovrebbe sempre tenere presente che nei vari scritti del Nuovo Testamento viene mantenuta proprio la dottrina opposta all’attuale norma del celibato presbiterale. Secondo i Vangeli, Gesù non lo ha imposto ai suoi apostoli. San Paolo ha detto che lui, come gli altri apostoli, avevano “diritto” (“potere” – exousía) di essere accompagnati da una donna cristiana (1 Cor 9, 5). E nelle lettere a Timoteo e Tito si afferma che i candidati al ministero ecclesiastico, compreso l’episcopato, devono essere uomini sposati con una donna, che sappiano governare la propria famiglia, perché “chi non sa governare la propria casa, come si prenderà cura della Chiesa di Dio?” (cf. 1 Tm 3, 2-5.12; Tt 1,6). Per il resto, è noto che anche nel concilio ecumenico di Nicea il vescovo Pafnuzio della Tebaide superiore, celibe e venerato confessore della fede, gridò davanti all’assemblea “che non si doveva imporre questo pesante giogo sulle spalle dei chierici e dei preti, dicendo che è anche degno di onore l’atto matrimoniale ed immacolato è lo stesso matrimonio; che non recassero danno alla Chiesa esagerando in severità, perché non tutti possono sopportare l’ascesi dell’“apátheia”, da cui forse sarebbe derivata la difficoltà di conservare la castità delle loro rispettive spose” (Hist. Eccl. I, XI. PG 67, 101-104). È evidente che i cristiani non possono essere privati ‹sacramenti, in particolare dell’Eucaristia, a causa del mantenimento di una disciplina, le cui origini sono state un’evidente contraddizione con ciò che il Nuovo Testamento ci insegna. Infine, se realmente le idee di un papa dimesso si oppongono all’unico Sommo Pontefice, che attualmente governa la Chiesa, questa stessa Chiesa deve chiedersi seriamente e trarre le dovute conseguenze dal significato e dalle conseguenze che può avere – e sta avendo – la presenza nello stesso Stato della Città del Vaticano di un vescovo che è stato Sommo Pontefice, ma che non lo è più. Quando ciò si presta alla possibilità di parlare di “due papi” e di creare situazioni di confusione e divisioni nella Chiesa, non sarebbe necessario e persino urgente che il papa dimesso viva altrove? |
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